IL CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA Ha pronunciato la presente ordinanza sul ricorso numero di registro generale 257 del 2013, proposto da: Fincantieri Cantieri Italiani Navali S.p.A., rappresentata e difesa dagli avv.ti Angelo Clarizia, Ignazio Scardina, Gianni Zgagliardich, con domicilio eletto presso l'avv. Ignazio Scardina in Palermo, via Rodi n. 1; Contro Assessorato Regionale Attivita' Produttive, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura, domiciliata in Palermo, via De Gasperi n. 81; Nei confronti di Cimolai S.p.A., rappresentata e difesa dall'avv. Salvatore Falzone, con domicilio eletto presso Eros Badalucco in Palermo, via Houel n. 4; Impresa Cooptata Metalmeccanica Agrigentina S.r.l. - Z.I. Asi, rappresentata e difesa dall'avv. Salvatore Falzone, con domicilio eletto presso Eros Badalucco in Palermo, via Villaermosa n. 18; Per la riforma della sentenza del TAR Sicilia - Palermo: Sezione II, n. 00725/2013, del dispositivo di sentenza del TAR Sicilia - Palermo: Sezione II, n. 00572/2013, resa tra le parti, concernente servizi-ristrutturazione del bacino galleggiante di carenaggio del porto di Palermo-esclusione. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Viste le memorie difensive; Visto l'art. 79, comma 1, cod. proc. amm.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 dicembre 2013 il Cons. Gabriele Carlotti e uditi, per le parti, gli avvocati I. Scardina, G. Zgagliardich, l'avv. dello Stato La Rocca e l'avv. S. Falzone; Fatto 1. - La Fincantieri cantieri italiani navali s.p.a. (d'ora in poi: Fincantieri) ha impugnato la sentenza n. 725 del 26 marzo 2013, con la quale il T.a.r. per la Sicilia, sede di Palermo (sez. II), respinse l'impugnativa, articolata in un ricorso introduttivo e in successivi motivi aggiunti, promossa in primo grado dalla medesima Fincantieri, onde ottenere l'annullamento dei seguenti atti: a) quanto al ricorso introduttivo, i verbali di gara, in seduta pubblica, del 4 luglio 2012, dell'11 luglio 2012, del 3 aprile 2012 e del 4 aprile 2012, nonche' del verbale di gara, in seduta riservata, del 3 aprile 2012, nelle parti in cui si escluse la Fincantieri dalla gara per l'appalto di servizi e lavori di ristrutturazione relativi al bacino galleggiante di carenaggio, di 52.000 tonnellate, ormeggiato nel Porto di Palermo; il bando e il disciplinare di gara, nelle parti in cui - come interpretati ed applicati dalla Commissione giudicatrice - precludevano alla Fincantieri di aggiudicarsi l'appalto in parola; la nota, prot. 22882, del 4 aprile 2012 della Regione siciliana; b) quanto ai motivi aggiunti, il decreto del dirigente generale della Regione siciliana, Assessorato regionale delle attivita' produttive, n. 3460/1 del 30 ottobre 2012, nonche' la lettera di comunicazione del 28 novembre 2012; la lettera della Regione siciliana, Assessorato regionale delle attivita' produttive, del 10 dicembre 2012. 2. - Si sono costituiti, per resistere all'impugnazione, l'Assessorato regionale alle attivita' produttive e la nonche' la Cimolai s.p.a. e la Metalmeccanica Agrigentina s.r.l. (nel prosieguo, rispettivamente: Assessorato e, collettivamente, ATI Cimolai). 3. - All'udienza pubblica del 12 dicembre 2013 la causa e' stata trattenuta in decisione. 4. - Per una migliore intelligenza delle questioni controverse occorre riferire i fatti salienti della lite. Nel 2012 l'amministrazione regionale indisse una procedura per l'affidamento dei lavori di ristrutturazione del bacino di carenaggio da 52.000 tonnellate, sito nel porto di Palermo. Alla gara europea, del valore a base d'asta pari a oltre 33 milioni di euro, parteciparono soltanto la Fincantieri e l'ATI Cimolai. In un primo momento (v. il verbale di gara del 4 aprile 2012), il seggio di gara si oriento' nel senso di aggiudicare l'appalto, fatte salve talune riserve, alla Fincantieri. Successivamente, tuttavia - avendo sciolto tali riserve in senso negativo per la Fincantieri - l'amministrazione, con provvedimento, di cui al verbale del 4 luglio 2012, confermato in data 11 luglio 2012, dispose l'aggiudicazione provvisoria dell'appalto in favore dell'ATI Cimolai. La Fincantieri adi' il T.a.r. per la Sicilia, sede di Palermo, impugnando il provvedimento di aggiudicazione e tutti gli altri atti, sopra indicati, chiedendone l'annullamento. Con ordinanza n. 521 del 4 settembre 2012 il T.a.r. respinse la domanda cautelare proposta dalla Fincantieri e, poi, questo Consiglio, con ordinanza n. 574 dell'8 ottobre 2012, confermo' la pronuncia del Tribunale. Con decreto dirigenziale, n. 3460/1 del 30 ottobre 2012, l'amministrazione infine dispose l'aggiudicazione definitiva in favore dell'ATI Cimolai e, con nota del 10 dicembre 2012, ne diede comunicazione al competente Ufficio rogante per la stipula del contratto. Con un successivo ricorso per motivi aggiunti la Fincantieri impugno' anche il ridetto provvedimento di aggiudicazione definitiva e gli atti ad esso connessi. Con i motivi aggiunti la Fincantieri lamento', tra l'altro, anche la nullita' radicale del bando per violazione dell'art. 2 della l.r. 20 novembre 2008, n. 15, recante «Misure di contrasto alla criminalita' organizzata» (nel prosieguo: l.r. n. 15/2008). Con ordinanza n. 50 del 25 gennaio 2013 il T.a.r. - «riservata al merito ogni statuizione in ordine alla questione di legittimita' costituzionale» - accolse la domanda cautelare, sospendendo i provvedimenti impugnati. 5. - Con la sentenza, ora gravata avanti a questo Consiglio, il T.a.r. per la Sicilia, sede di Palermo, ha respinto l'articolata impugnativa, promossa in prime cure, dalla Fincantieri, con le seguenti argomentazioni: 5.1. - In via prioritaria il Tribunale ha scrutinato il primo motivo aggiunto - ravvisandone il carattere pregiudiziale e assorbente - incentrato sulla dedotta violazione dell'art. 2, comma 1, della l.r. n. 15/2008, secondo cui i bandi di gara relativi agli appalti superiori a 100,00 (centomila/00) euro, che non prevedano l'obbligo per gli aggiudicatari di indicare un numero di conto corrente unico sul quale gli enti appaltanti dovranno far confluire tutte le somme, sono affetti da nullita' radicale; incidentalmente va fin d'ora dato atto dell'incontestato omesso inserimento di detta clausola, e pure di quella prescritta dal comma 2 del medesimo art. 2 della l.r. n. 15/2008, nel bando relativo alla procedura di gara al centro del contendere. Il Tribunale ha innanzitutto premesso che la nullita' di un provvedimento consiste in un vizio insanabile e rilevabile anche d'ufficio dal giudicante in ogni grado e stato del giudizio (art. 21-sexies della l. n. 241/1990) e che, nel caso di specie, l'eventuale accertamento di detta nullita' avrebbe comportato il conseguente annullamento dell'intera procedura di gara; nondimeno il T.a.r. ha respinto la doglianza con le seguenti argomentazioni: l'art. 117, comma 2, lett. h), della Costituzione - entrato in vigore in occasione della modifica del Titolo V - attribuisce allo Stato una potesta' legislativa esclusiva in materia di «ordine pubblico e sicurezza». come affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 35 del 2012, la disciplina della «tracciabilita' dei flussi finanziari relativi a pubblici appalti» va considerata una sub-materia interna a quella dell'«ordine pubblico e della sicurezza» e, rispetto a quest'ultima assorbente materia, la competenza a legiferare spetta in via esclusiva allo Stato, in quanto unico Legislatore deputato alla gestione della politica di prevenzione e repressione della criminalita' organizzata di matrice mafiosa; d'altronde, proprio nell'esercizio di tale potesta' legislativa esclusiva, il Legislatore statale ha approvato la l. n. 136 del 2010, recante il «Piano straordinario contro le mafie» (e la delega al Governo per il riordino della normativa antimafia) che, all'art. 3 - poi integrato dagli artt. 6 e 7 del d.l. 12 novembre 2010, n. 187, convertito in l. 17 dicembre 2010, n. 217 -, reca una disciplina generale in tema di tracciabilita' e di trasparenza dei flussi finanziari relativi ai pubblici appalti, uniforme per tutto il territorio nazionale e diversa da quella dettata dal Legislatore regionale siciliano con la citata l.r. n. 15/2008; in forza di tale provvedimento, si sarebbe pertanto determinata l'abrogazione di quella regionale; non varrebbe difatti obiettare, contro tale conclusione circa i rapporti tra le fonti in discorso, che ai sensi dell'art. 14, comma 1, lett, g), dello Statuto d'autonomia siciliana, approvato con legge costituzionale, la Regione vanti una potesta' legislativa esclusiva in materia di «lavori pubblici» e cio' perche' la modifica dell'art. 117 Cost., nonche' dell'intero Titolo V, configurandosi come una revisione della Carta Fondamentale intervenuta successivamente alla promulgazione della legge costituzionale relativa allo Statuto della Regione siciliana (l. cost. n. 2 del 1948), sarebbe destinata a prevalere su quest'ultima, parimenti di rango costituzionale, ma cronologicamente anteriore; piu' in dettaglio, l'erosione dello spazio di potesta' legislativa esclusiva precedentemente riservata alla Regione siciliana (in materia di lavori pubblici) si sarebbe determinata in forza di una norma costituzionale, recante l'attribuzione allo Stato di una specifica potesta' legislativa esclusiva; inoltre, con l'art. 3 della l. n. 136/2010, il Legislatore statale avrebbe optato per una soluzione regolatoria differente da quella scelta dal Legislatore regionale siciliano con la citata l.r. n. 15/2008, giacche', invece di disporre l'obbligo di inserire la clausola di cui al comma 1 dell'art. 2, del cui tenore si e' dato sopra conto, direttamente nei bandi e sotto pena di nullita' degli stessi, la normativa statale avrebbe imposto che una clausola analoga sia inserita direttamente nel successivo contratto da stipulare a seguito del provvedimento di aggiudicazione, con correlativa previsione della sanzione di nullita' negoziale in caso di violazione di detto obbligo; cosi' disponendo, dal punto di vista della tecnica legislativa, la disciplina introdotta dal Legislatore statale meglio si conformerebbe ai criteri di efficacia, efficienza, economicita' e proporzionalita', che connotano, in materia, il canone fondamentale del buon andamento: in particolare, la normativa statale scongiurerebbe il rischio che, in conseguenza e a cagione dell'omesso inserimento della summenzionata clausola nei bandi, si determini l'illogico e sproporzionato effetto di rendere radicalmente nulle gare d'appalto gia' utilmente espletate e finanche dopo l'avvenuta aggiudicazione, con evidente ed illogico spreco di tempo, di attivita' amministrativa e di pubbliche risorse. 5.2. - Cosi' respinto il primo motivo aggiunto, il T.a.r. e' poi passato ad esaminare le restanti doglianze, del pari rigettandole. 6. - Avverso la pronuncia, teste' sinteticamente riferita nei suoi contenuti essenziali, ha proposto impugnazione la Fincantieri il cui appello e' stato affidato a mezzi di gravame, cosi' ordinati e rubricati: I) quanto al rigetto del primo motivo di ricorso per motivi aggiunti in relazione alla nullita' a norma dell'art. 2 della l.r. n. 15/2008: violazione e falsa applicazione di legge; erroneita' della sentenza per travisamento dei fatti e dei presupposti; contraddittorieta' e illogicita' manifesta; difetto di motivazione; omessa valutazione e carenza di motivazione in relazione all'art. 2, comma 2, della l.r. n. 15/2008; omissione e carenza di motivazione in relazione alla doglianza relativa all'illegittimita' costituzionale dell'art. 2 della l.r. n. 15/2008, sia con riferimento al comma 1 che al comma 2, considerato che la questione e' stata sollevata nel giudizio di primo grado; errata valutazione dell'art. 117, comma 2, lett. h), Cost. (che attribuisce allo Stato la potesta' legislativa esclusiva in materia di «ordine pubblico e sicurezza») e della (sola) sentenza n. 35/2012 della Corte costituzionale, desumendo altrettanto erroneamente l'attrazione o l'assorbimento della disciplina della tracciabilita' nell'orbita dell'ordine pubblico e sicurezza e la riserva assoluta, da parte dello Stato, della gestione della politica di prevenzione e repressione della criminalita' organizzata di matrice mafiosa e quindi anche della disciplina della tracciabilita' dei flussi finanziari (quale sub-materia afferente all'ordine pubblico e sicurezza); errata valutazione dell'art. 14, comma 1, lett. g), dello Statuto della Regione siciliana, che attribuisce alla medesima Regione la potesta' legislativa esclusiva in materia di «lavori pubblici», per dedurne che l'art. 2 della l.r. n. 15/2008, laddove emanato in forza di tale potesta', non potrebbe resistere alla sopraggiunta legislazione statale: con siffatta articolata censura la Fincantieri ha contestato sotto vari profili il percorso e l'approdo motivazionale con il quale il Tribunale e' giunto a statuire l'insussistenza del vizio di nullita' del bando di gara per violazione dell'art. 2 della l.r. n. 15/2008; II) quanto al rigetto del secondo motivo di ricorso promosso da Fincantieri nel primo grado del giudizio: erroneo inquadramento, sotto ogni profilo, dell'oggetto dell'appalto quale «appalto di lavori» e completo travisamento dello stesso oggetto dell'appalto messo in gara e conseguente travisamento dei requisiti effettivamente richiesti al «progettista» del «servizio», come deducibili dal regolamento di gara e della normativa in materia di «appalti di servizi»; completo travisamento del quadro normativo di riferimento dello specifico appalto di servizi e della relativa progettazione, come espressamente previsto nella lex specialis e necessario in virtu' dello specifico oggetto del contratto e della normativa presupposta; violazione della par condicio e dell'affidamento generato da altre parallele procedure aventi identico oggetto e contemporaneamente svolte dalla medesima stazione appaltante; mancata valutazione della documentazione effettivamente dimessa da Fincantieri in ordine ai requisiti dei progettisti; contraddizione della motivazione della sentenza impugnata rispetto alla documentazione effettivamente presentata da Fincantieri; III) quanto al rigetto del primo motivo di ricorso promosso da Fincantieri: carenza di motivazione sul punto specifico e travisamento dei fatti; IV) riproposizione ai sensi dell'art. 101, comma 2, c.p.a., dei motivi non esaminati dal T.a.r. per la Sicilia, sede di Palermo: a) in via principale, IV.1.) mancata esclusione dell'ATI Cimolai sia per la mancata iscrizione del progettista nell'apposito registro che per la mancata prova dell'esperienza specifica dei medesimi progettisti sull'oggetto della gara, oltre che per la mancata comprova dell'iscrizione agli Albi dei costruttori e riparatori navali, come risultante dalla dichiarazione di gara; violazione di legge, dell'art. 277 del regolamento di esecuzione del Codice della navigazione; violazione dell'art. 5 e 7 del d.m. n. 280/1992; violazione dell'art. 46, comma 1-bis, del d.lgs. n. 16372006; eccesso di potere per disparita' di trattamento, travisamento e violazione della par condicio; IV.2.) errata attribuzione di punteggi tecnici a Fincantieri e all'ATI Cimolai; eccesso di potere per disparita' di trattamento, contraddittorieta', errore di fatto evidente; mancata valutazione di elementi conoscitivi specifici, contraddittorieta', travisamento; b) in via subordinata, IV.3.) mancata indicazione, nei verbali, di qualsiasi riferimento alle modalita' di conservazione delle offerte e alla loro sigillatura e quanto alla violazione del principio di concentrazione delle sedute di gara; violazione e falsa applicazione del principio di pubblicita' delle operazioni di gara, di legalita' e di trasparenza; violazione e falsa applicazione del principio di buon andamento e imparzialita' e par condicio fra i concorrenti; violazione del principio di concentrazione e di continuita' delle sedute di gara; IV.4.) mancanza di qualsiasi atto di nomina della Commissione di gara e all'essere effettivamente i commissari nominati «esperti» nello specifico settore; violazione di legge, violazione dell'art. 84, commi 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8 e 10, del d.lgs. n. 163/2006; IV.5.) quanto al tempo eccessivamente ristretto per il compimento di valutazioni tecniche complesse, eccesso di potere per illogicita' grave e manifesta nel valutare le domande di partecipazione e nell'assegnare i punteggi; difetto di istruttoria, disparita' di trattamento, lesione della par condicio; eccessiva brevita' temporale della valutazione tecnica delle offerte; IV.6.) violazione di legge, violazione degli artt. 11, comma 5, 12, comma 1, 81, comma 3, del d.lgs. n. 163/2006; violazione di legge, violazione dell'art. 3 della l. n. 24171990 (carenza di motivazione); violazione dei principi generali in materia di verifiche dell'aggiudicazione provvisoria; eccesso di potere per motivazione insufficiente; contraddittorieta', travisamento ed errore di fatto e di diritto; IV.7) violazione di legge, violazione dell'art. 6, comma 3, del d.P.R. n. 207/2010; violazione degli artt. 1 e 8 del d.m. 24 ottobre 2008 in materia di DURC; violazione dell'art. 2 della l. n. 266/2002 in materia di DURC; violazione di legge, violazione dell'art. 3 della l. n. 241/1990 (omessa motivazione); eccesso di potere per motivazione insufficiente, contraddittorieta', travisamento ed errore di fatto e di diritto; IV.8.) domanda di risarcimento del danno. 7. - Interessa segnalare che, nello spiegare le proprie difese, l'ATI Cimolai ha, tra l'altro, controdedotto che l'art. 2 della l.r. n. 15/2008 non sarebbe applicabile, per varie ragioni (quali la rilevanza comunitaria dell'appalto, la pretesa abrogazione implicita della norma nello stesso ordinamento regionale in forza della l.r. n. 12/2011, l'operativita' della regola di cui all'art. 46, comma 1-bis, del Codice degli appalti, ecc.), alla fattispecie in esame e, in ogni caso, detta disposizione presterebbe il fianco a plurimi sospetti di incostituzionalita' per violazione dell'art. 117, secondo comma, lett. e) e h), Cost., sotto vari profili. 8. - Con sentenza non definitiva n. 14 del 14 gennaio 2014 (d'ora in poi: sentenza n. 1/2014), questo Consiglio, dopo aver qualificato la gara controversa come avente ad oggetto un appalto di servizi, ha respinto tutti i motivi di appello interposti dalla Fincantieri, ad eccezione del primo mezzo di gravame, incentrato sulla violazione da parte della stazione appaltante, dell'art. 2 della l.r. n. 15/2008, essendo incontestato - si ribadisce - che gli atti indittivi della procedura in contestazione non rechino le clausole imposte, a pena di nullita', dai primi due commi della succitata disposizione regionale. A tal riguardo questo Consiglio ha tuttavia ravvisato dubbi in ordine alla legittimita' costituzionale dell'art. 2 della l.r. n. 15/2008 e quindi - riservata ogni ulteriore statuizione sul merito e sul regolamento delle spese processuali del giudizio - con la sunnominata sentenza n. 1/2014, ha disposto, con separata ordinanza (id est il presente provvedimento), la trasmissione degli atti del processo alla Corte costituzionale. Diritto 9. - Prima di illustrare le ragioni della ravvisata rilevanza e della ritenuta non manifesta infondatezza della questione che si intende sottoporre al vaglio di legittimita' della Corte costituzionale, giova riportare il testo della disposizione legislativa regionale attorno alla quale si addensano le perplessita' del Collegio. L'art. 2 della l.r. n. 15/2008, come modificato dalla dall'art. 28, comma 1, lett. a), della l.r. 14 maggio 2009, n. 6 (a decorrere dal 1° gennaio 2009), rubricato «Conto unico per gli appalti», recita: «1. Per gli appalti di importo superiore a 100 migliaia di euro, i bandi di gara prevedono, pena la nullita' del bando, l'obbligo per gli aggiudicatati di indicare un numero di conto corrente unico sul quale gli enti appaltanti fanno confluire tutte le somme relative all'appalto. L'aggiudicatario si avvale di tale conto corrente per tutte le operazioni relative all'appalto, compresi i pagamenti delle retribuzioni al personale da effettuarsi esclusivamente a mezzo di bonifico bancario, bonifico postale o assegno circolare non trasferibile. Il mancato rispetto dell'obbligo di cui al presente comma compatta la risoluzione per inadempimento contrattuale. 2. I bandi di gara prevedono, pena la nullita' degli stessi, la risoluzione del contratto nell'ipotesi in cui il legale rappresentante o uno dei dirigenti dell'impresa aggiudicataria siano rinviati a giudizio per favoreggiamento nell'ambito di procedimenti relativi a reati di criminalita' organizzata. 3. Gli enti appaltanti verificano il rispetto degli obblighi di cui ai commi 1 e 2.». Sulla rilevanza della questione di legittimita' costituzionale 10. - Il Collegio ritiene che la questione di legittimita' costituzionale, meglio dettagliata nei successivi paragrafi, sia rilevante ai fini del decidere. Si e' difatti riferito, nella superiore narrativa del fatto, che con la sentenza n. 1/2014 sono state esaminate e decise da questo Consiglio tutte le questioni devolute in secondo grado, ad eccezione di quella relativa alla violazione dell'art. 2 della l.R, n. 15/2008. Piu' in particolare, secondo questo Consiglio, la Fincantieri ha perso la gara in contestazione e che la procedura di affidamento, in disparte la questione afferente la violazione del succitato art. 2, si e' svolta in modo legittimo; inoltre correttamente il T.a.r. per la Sicilia, sempre fatta salva la questione attinente all'art. 2 (su cui v. subito infra), ha scrutinato i motivi dell'originaria impugnativa. Da cio' consegue che, laddove la Corte costituzionale non dovesse condividere le perplessita' nutrite da questo Consiglio in ordine all'art. 2 della l.r. n. 15/2008, allora la controversia dovrebbe essere decisa in senso favorevole alle tesi patrocinate dalla Fincantieri - obiettivamente sussistendo il vizio radicale denunciato, consistito nella violazione dell'art. 2 della l.r. n. 15/2008 - con conseguente dichiarazione di nullita' del bando e necessariamente, in via derivata, di tutti i successivi atti della procedura, ivi inclusa l'aggiudicazione. Non v'e' dubbio, poi, che la Fincantieri sia titolare di un interesse strumentale alla rinnovazione della gara una volta, e in ipotesi, invalidata ab imis la procedura; nemmeno puo' dubitarsi che detto interesse, nonche' quello connesso all'eventuale riconoscimento di un risarcimento del danno per perdita di chance, sia tutelabile in via giurisdizionale. Di contro, qualora la Corte costituzionale dovesse dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'art. 2 della l.r. n. 15/2008, allora l'ATI Cimolai risulterebbe definitivamente vittoriosa e questo Consiglio dovrebbe limitarsi a respingere il motivo residuo, ossia quello relativo alla nullita' del bando per violazione del citato art. 2, e la connessa domanda risarcitoria, e a pronunciarsi sul regolamento delle spese processuali del giudizio. Sulla non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale 11. - Al fine di chiarire le ragioni della ravvisata non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale, occorre innanzitutto muovere dalla considerazione che la Fincantieri ha lamentato la violazione, da parte della stazione appaltante, di entrambi i commi dell'art. 2 della l.r. n. 15/2008. 12. - Si deve altresi' premettere che questo Consiglio non condivide le ricostruzioni del quadro normativo rispettivamente svolte dal T.a.r. per la Sicilia, sede di Palermo, nella sentenza impugnata e dall'ATI Cimolai nelle difese da Questa spiegate. 13. - Principiando dalla posizione espressa dal T.a.r., deve osservarsi come il Primo Giudice abbia in essenza ritenuto che l'art. 2 della l.r. n. 15/2008 sia una disposizione non piu' vigente, in quanto abrogata. Ad avviso del Tribunale tale abrogazione - poiche' sicuramente non disposta espressamente da alcun provvedimento regionale avente forza e valore di legge - si sarebbe determinata per incompatibilita' tra la suddetta disposizione e le successive previsioni statali, di rango sia costituzionale sia primario. In particolare, l'effetto abrogativo, nell'opinione del T.a.r., scaturirebbe: I) dal combinato disposto degli artt. 117, secondo comma, lett. h), Cost. e 3 della l. n. 136/2010, essendo la materia della «tracciabilita' dei flussi finanziari» attratta in quella dell'«ordine pubblico e sicurezza»; II) dall'avvenuta «erosione» (rectius, parziale abrogazione) dell'ambito di applicabilita' dell'art. 14, primo comma, lett. g), dello Statuto d'autonomia della Regione siciliana in conseguenza dell'intervenuta revisione del Titolo V della Costituzione. Ad avviso di questo Consiglio, entrambe le argomentazioni addotte dal Tribunale a sostegno dei riferiti approdi esegetici non sono convincenti. In primo luogo, contro dette conclusioni va osservato che - quand'anche, solamente exempli causa, si potesse condividere la ricostruzione del fenomeno abrogativo come determinatosi gia' a livello costituzionale (nei sensi cioe' dell'avvenuta parziale abrogazione, in forza dell'art. 117, secondo comma, lett. h), Cost. dell'art. 14, primo comma, lett. g) dello Statuto regionale) - siffatta successione cronologica di formanti costituzionali di certo non determinerebbe automaticamente, al livello inferiore delle fonti di rango primario, alcuna abrogazione: semmai la norma regionale che ipoteticamente venisse a trovarsi in contrasto con il diverso contesto costituzionale, come configuratosi per effetto e in conseguenza del descritto fenomeno abrogativo, dovrebbe essere rimossa (in assenza di un intervento del Legislatore regionale, di natura abrogativa o in via di interpretazione autentica) mediante una pronuncia della Corte costituzionale. Peraltro, in secondo luogo e sebbene il precedente rilievo assuma carattere assorbente, nemmeno convince la tesi della (totale) abrogazione, in forza della novella dell'art. 117 Cost., dell'art. 14, primo comma, lett. g), dello Statuto regionale. Ed invero, siffatta previsione (del r.d.lgs. 15 maggio 1946, n. 455, convertito in legge costituzionale in virtu' della l. cost. 26 febbraio 1948, n. 2) - che nella parte d'interesse recita: «L'Assemblea, nell'ambito della Regione e nei limiti delle leggi costituzionali dello Stato, senza pregiudizio delle riforme agrarie e industriali deliberate dalla Costituente del popolo italiano, ha la legislazione esclusiva sulle seguenti materie: ... g) lavori pubblici, eccettuate le grandi opere pubbliche di interesse prevalentemente nazionale; ...» - conserverebbe nondimeno, anche a voler tener conto della sopravvenienza rappresentata dalla riforma del Titolo V della Costituzione, un suo ambito di validita' e di efficacia, sebbene obiettivamente piu' circoscritto rispetto all'ampia latitudine originaria, non confliggente con le altre attribuzioni legislative esclusive dello Stato (ossia nelle materie, per quanto rileva nella presente controversia, della tutela della concorrenza, dell'ordine pubblico e della sicurezza, della giurisdizione e della giustizia amministrativa, dell'ordinamento civile e penale e delle norme fondamentali di riforma economico-sociali). Nemmeno convince la tesi, relativamente al rapporto tra le fonti di rango primario, dell'abrogazione implicita dell'art. 2 della l.r. per effetto e in conseguenza dell'entrata in vigore dell'art. 3 della l. n. 136/2010. Difatti - anche a voler idealmente prescindere dalla considerazione dell'insussistenza (o, quanto meno, della dubbia sussistenza) a monte di un fenomeno abrogativo di ordine costituzionale, almeno non nei termini descritti dal T.a.r. per la Sicilia -, e' dirimente osservare che le due disposizioni, statale e regionale, anche alla stregua di quanto si precisera' infra, non si pongono reciprocamente in rapporto di radicale antinomia e, quindi, esistono margini per una loro concorrente e compatibile applicabilita'. Ritiene, insomma, questo Consiglio che il T.a.r. abbia direttamente considerato abrogate delle norme le quali, invece, prestano unicamente il fianco a sospetti di incostituzionalita', in relazione ai quali, pertanto, non sarebbe stato possibile omettere ne' si possa oggi omettere (anche in ragione dell'impossibilita' di un'interpretazione costituzionalmente orientata delle stesse; sul punto, v. infra) di sollecitare sul punto una specifica valutazione da parte della Corte costituzionale. Sulla perdurante vigenza dell'art. 2 della l.r. n. 15/2008, anche all'indomani dell'entrata in vigore dell'art. 3 della l. n. 136/2010, si e' d'altronde gia' pronunciato questo Consiglio con decisioni dalle cui conclusioni, in parte qua, il Collegio non reputa di potersi discostare: con tali pronunciamenti, in particolare, questo Consiglio ha ritenuto che l'art. 2 della l.r. n. 15/2008, almeno in parte e prima facie (in disparte cioe' i dubbi di costituzionalita' che, in seguito, si esporranno), non sia incompatibile con l'odierno contemporaneamente vigente art. 3 della l. n. 136/2010, rispetto al quale la disposizione regionale contiene norme di carattere speciale. A tal riguardo meritano di essere richiamate sia la sentenza n. 721/2012 del 27 luglio 2012 sia l'ordinanza (cautelare) n. 786/2013 del 16 ottobre 2013, nelle quali si e' rispettivamente statuito che: «...a) che l'art. 3 della legge statale 13 agosto 2010, n. 136, invocato dall'appellante come implicitamente abrogativo dell'art. 2, comma 1, l.r. n. 15/2008, non e' affatto incompatibile con tale ultima disposizione;...» (cosi' la sentenza n. 721/2013); «... Quanto alla perdurante vigenza della norma di cui al citato art. 2, comma 1, pur dopo l'entrata in vigore dell'art. 3 della legge statale 13 agosto 2010, n. 136, Collegio ritiene - sebbene entrambe le norme trovino applicazione nella Regione siciliana, quella statale per effetto del recepimento regionale del codice dei contratti pubblici, che a sua volta richiama la normativa antimafia - che non basti l'ovvio rilievo di una certa simiglianza tra le due discipline a sopportare l'affermazione che la sopravvenienza di quella posteriore abbia tacitamente abrogato quella anteriore. Invero, la normativa regionale, pur se anteriore, ha carattere di specialita' rispetto a quella statale successiva; sicche', in applicazione di basilari canoni esegetici disciplinanti la successione delle leggi nel tempo, va escluso che la legge generale successiva deroghi alla legge speciale anteriore. E' in proposito dirimente il rilievo che la normativa statale - in aggiunta ad altre differenze, pure evidenti: giacche' l'una pone un precetto rivolto agli appaltatori e ai concessionari di finanziamenti pubblici, l'altra alle stazioni appaltanti in sede di approvazione del bando di gara; la prima prescrive l'uso di uno o piu' conti correnti, utilizzabili peraltro «anche non in via esclusiva», la seconda impone invece «di indicare un numero di conto corrente unico», dunque utilizzabile esclusivamente per l'appalto di cui trattasi - si applica, oltre che ai finanziamenti pubblici, agli appalti senza ulteriori specificazioni; laddove, invece, la norma regionale riguarda unicamente «gli appalti di importo superiore a 100 migliaia di euro». Risulta percio' evidente che, pur dopo il doppio recepimento di cui si e' fatto cenno, l'art. 3 della legge n. 136 debba trovare applicazione, anche in Sicilia (ove la Regione ha competenza legislativa primaria o esclusiva in materia di appalti pubblici, ai sensi dell'art. 14, lettera g), del proprio Statuto speciale), in tutti gli appalti di importo non superiore a € 100.000; laddove invece, al di sopra di detta soglia, per il gia' ricordato principio di specialita', e' giocoforza affermare che debba trovare applicazione (solo) l'art. 2, comma 1, della citata legge regionale. Si badi che cio' non implica, altresi', che alla medesima conclusione si debba pervenire anche in ordine al comma 2 di tale ultimo articolo; tuttavia di tale profilo - sebbene detto comma 2 non abbia alcun rilievo in riferimento alla vicenda in esame - si accennera' brevemente infra. Quel che preme qui sottolineare e', piuttosto, che l'abrogazione tacita - concetto tecnicamente assai piu' preciso di quello, sostanzialmente sociologico o lato sensu politico, della c.d. «incompatibilita' sostanziale» - postula un'effettiva e assoluta incompatibilita' tra due discipline, che non e' dato invece ravvisare tra quelle di cui trattasi (art. 3 l. n. 136/2010 e art. 2, comma 1, l.r. n. 15/2008). Ne', sempre a questo proposito, puo' pretermettersi di considerare, da ultimo ma non per ultimo, che l'art. 2 della l.r. n. 15/2008 non e' indicato tra le norme che l'art. 32 della l.r. 12 luglio 2011, n. 12, considera abrogate in conseguenza del recepimento del codice dei contratti pubblici (operato dalla stessa l.r. n. 12/2011): sicche', anche per questo profilo, detto art. 2 va considerato vigente.» (cosi' l'ordinanza n. 786/2013). Nemmeno puo' ritenersi che, nella fattispecie, abbia operato il meccanismo di cui all'art. 10 della l. 10 febbraio 1953, n. 62 (Costituzione e funzionamento degli organi regionali: secondo cui le leggi della Repubblica che modificano i principi fondamentali quali risultano da leggi che espressamente li stabiliscono per le singole materie o quali si desumono delle leggi vigenti abrogano le norme regionali che siano in contrasto con esse), dal momento che - anche a voler prescindere dalla considerazione che il limite dei principi fondamentali opera con riguardo alle materie oggetto di competenza regionale c.d. concorrente, laddove nella specie trattasi invece di competenza legislativa regionale c.d. esclusiva, o primaria - per quanto sopra argomentato richiamando quanto esposto nell'ordinanza n. 786/2013 di questo Consiglio, l'art. 3 della l. n. 136/2010 e l'art. 2, comma 1, della l.r. n. 15/2008 non poggiano su principi fondamentali contrastanti, al di la' del dato rappresentato dall'incidenza delle due disposizioni su differenti segmenti della serie procedimentale complessa, provvedimentale e negoziale, che conduce alla stipula di contratti di appalti pubblici (incentrandosi, rispettivamente, l'invalidita' regionale sul primo atto del procedimento e quella statale sul contratto); anzi, le ragioni della sospettata incostituzionalita' dell'art. 2 della l.r. n. 15/2008 riposano in gran parte sull'argomento che sia il ridetto art. 2 sia l'art. 3 della l. n. 136/2010 si presentano sorretti da comuni finalita' e che le due disposizioni, regionale e statale, poggino, almeno in parte, sui medesimi principi, entrambe concorrendo al contrasto, attraverso l'imposizione di severe regole sulla controllabilita' di flussi finanziari, delle infiltrazioni della criminalita' (e, specificatamente, di quella organizzata), nel settori del public procurement: sennonche' legiferare in tale materia e' una competenza esclusiva dello Stato e non anche della Regione siciliana. Nel medesimo senso (ossia della perdurante vigenza dell'art. 2 della l.r. n. 15/2008) si e' peraltro pronunciato lo stesso T.a.r. per la Sicilia, sede di Palermo, che, con due recenti ordinanze n. 2054 e 2055, entrambe pubblicate (mediante deposito in segreteria) il 7 novembre 2013, ha disposto altrettanti rinvii alla Corte costituzionale in relazione all'art. 2 della l.r. n. 15/2008 (su tali provvedimenti, v. infra,passim, giacche' molti dei dubbi palesati dal T.a.r. sono condivisi e fatti propri anche da questo Consiglio nella presente ordinanza). 14. - Rimanendo sul tema dell'abrogazione o, comunque, dell'inapplicabilita' alla fattispecie in esame dell'art. 2 della l.r. n. 15/2008, nemmeno paiono risolutive le argomentazioni difensive spiegate dall'ATI Cimolai. Piu' in dettaglio l'ATI Cimolai, oltre ad aver dedotto alcuni profili di possibile incostituzionalita' della disposizione regionale, ha altresi' sostenuto, in via logicamente preliminare, che: a) l'art. 2 della l.r. n. 15/2008 non si applicherebbe alla fattispecie in esame, trattandosi di procedura afferente a un'opera pubblica di grande rilievo che, come tale, investe un interesse nazionale ed europeo; in questo senso sussisterebbe un contrasto sia con l'art. 14, primo comma, lett. g), dello Statuto regionale (che, per l'appunto, non contempla una legislazione esclusiva siciliana nel settore delle opere di interesse prevalentemente nazionale) sia con la disciplina dell'Unione europea; b) a decorrere dall'entrata in vigore della l.r. 12 luglio 2011, n. 12 (con la quale e' stato recepito nell'ordinamento isolano il Codice dei contratti pubblici), in Sicilia troverebbe applicazione, alla materia dei pubblici appalti, solo il d.lgs. n. 163/2006, come recepito nell'Isola, e non anche, dunque, l'art. 2 della l.r. n. 15/2008; c) l'art. 2 della l.r. n. 15/2008 non troverebbe applicazione, in quanto la disposizione si porrebbe in contrasto con l'art. 46, comma 1-bis, del d.lgs. n. 163/2006, laddove la disposizione statale introduce il principio della tassativita' delle clausole di esclusione. Opina il Collegio che l'argomento, incentrato sulla natura di interesse prevalentemente nazionale dell'opera oggetto del bando controverso, sia privo di pregio, atteso che il potenziale contrasto, sotto questo aspetto, della disposizione legislativa in contestazione con l'art. 14 dello Statuto d'autonomia legittimerebbe, al piu', un dubbio di costituzionalita' (e d'altronde v., sul punto, infra) e non anche una disapplicazione della norma regionale di rango primario; il preteso contrasto dell'art. 2 della l.r. n. 15/2008 con il diritto dell'Unione europea, poi, non e' stato dimostrato e nemmeno e' evidente, atteso che la disciplina europea non preclude affatto la possibilita' che i Legislatori regionali possano legiferare in materia di appalti pubblici (semmai siffatta possibilita' va verificata alla stregua dei limiti costituzionali interni), integrando le vincolanti regole stabilite a livello sovranazionale, ne' assegna una competenza esclusiva in materia alla fonte rappresentata, in Italia, dal d.lgs. n. 163/2006. Nemmeno convince il secondo argomento, giacche' l'intervenuto recepimento (peraltro non integrale) del Codice dei contratti pubblici nell'ordinamento siciliano non impedisce affatto che possano continuare ad applicarsi anche norme regionali previgenti e, anzi, questa e' esattamente la situazione determinatasi in forza dell'entrata in vigore della l.r. n. 12/2011 che, per un verso, ha fatto espressamente salve alcune di tali previsioni regionali e che, per altro verso, non ha espressamente abrogato la l.r. n. 15/2008 (cosi' dando supporto alla tesi della non abrogazione di detta legge, sia pure sulla base dell'argumentum a contrario); Infine e' inconducente anche il motivo sub c). Ed invero, una volta premesso che l'art. 2 della l.r. n. 15/2008 non contempla ipotesi di esclusione dei concorrenti, ma una causa di nullita' dei bandi, e' comunque dirimente rilevare che l'art. 46, comma 1-bis, succitato impone esclusivamente la regola della tipizzazione per legge (o per regolamento) della cause di esclusione dei partecipanti alla procedura di affidamento e non impedisce pertanto che una legge regionale possa disporre una causa di invalidita' del bando non contemplata dalla disciplina statale (altra questione, che non interferisce con il profilo teste' esaminato e che sara' affrontata infra, riguarda invece la possibilita' che la legge regionale possa introdurre ipotesi di vera e propria nullita' dei provvedimenti amministrativi). 15. - Dovendosi pertanto ritenere, alla stregua di tutto quanto sopra osservato, che l'art. 2 della l.r. n. 15/2008, nei suoi primi due commi, sia ancora vigente e applicabile nella fattispecie, il Collegio esclude che si possa ragionevolmente ricostruire un'interpretazione costituzionalmente orientata delle disposizione regionale; cio', ovviamente, nei limiti consentiti da un'interpretazione adeguatrice che non travalichi, quand'anche spinta fino agli estremi limiti delle sue valenze semantico-giuridiche, i vincoli della legittima esegesi consentita al giudicante senza trasmodare in una vietata nomopoiesi di matrice pretoria. Le ragioni di tale impossibilita' sono rese palesi, ad avviso del Collegio, sia dall'impraticabilita' di un percorso ermeneutico inteso a depotenziare la previsione regionale nei termini di una nullita' soltanto parziale, «sanabile» attraverso l'operare del meccanismo integrativo di cui al combinato disposto degli artt. 1339 e 1419, secondo comma, c.c. sia dalla molteplicita' e dalla gravita' dei profili di sospetta incostituzionalita' che saranno di seguito esposti. 16. - In ordine al primo aspetto, ossia quello attinente all'inapplicabilita' del meccanismo conservativo risultante dall'applicazione del combinato disposto degli artt. 1339 e 1419 c.c., occorre prendere l'abbrivo dalla succitata ordinanza di questo Consiglio n. 786/2013, nella quale si e' osservato che: «Passando... al profilo relativo alla possibilita' di configurare come solo parziale, piuttosto che totale, la nullita' del bando di gara difforme dalla previsione normativa regionale in esame - con conseguente ipotizzata applicabilita' del meccanismo dell'inserzione automatica di clausole, di cui all'art. 1339 del cod. civ. (ove applicabile anche all'atto amministrativo recante la lex specialis di una gara d'appalto) - il Collegio ritiene che una siffatta configurazione esegetica travalicherebbe i limiti di compatibilita' con il tenore letterale della legge regionale, che un interprete che non voglia farsi legislatore e' tenuto a osservare. La norma regionale, infatti, non reca una mera sanzione di generica nullita', e neppure di «nullita' assoluta» (come, per esempio, si legge invece nel comma 8 del cit. art. 3 della legge statale n. 136/2010); bensi' una preclara sanzione di «nullita' del bando». Non si puo' ragionevolmente dubitare che il legislatore regionale abbia inteso sanzionare, appunto, con la nullita' del bando (vale a dire di tutto il bando, ossia del bando nella sua interezza) la violazione, da parte della stazione appaltante, del precetto posto dall'art. 2, comma 1, l.r. n. 15/08.... Rispetto a questa tematica, resta dunque sullo sfondo la grande difficolta' di ipotizzare integrazioni legali del bando di gara con precetti la cui violazione dovrebbe dar luogo all'esclusione del concorrente che tali precetti abbia violato (o alla risoluzione del contratto, se la violazione avviene nella fase di esecuzione di esso): giacche', essendosi costui attenuto a tutto quanto previsto dal bando, ogni sanzione applicatagli in esito a un processo interpretativo metatestuale potrebbe davvero sembrare una insopportabile violazione del suo incolpevole affidamento. Invero, su di essa fa premio, come si e' gia' detto, l'esigenza di non consentire all'interprete di forzare il dato testuale, giusto o sbagliato che lo ritenga, al di la' di quello che potrebbe definirsi il suo intrinseco limite di elasticita' (cosi' mutuando un'espressione usata in dottrina con riguardo alla riconduzione dei contratti ai relativi tipi negoziali prefigurati dal codice civile); e infatti, nella specie, tale limite non sembra consentire, data l'assoluta chiarezza del dato normativo, di ritenere valido un bando anche ove non rechi la clausola voluta dalla legge, neppure predicando che esso sia automaticamente integrato da una clausola, ivi non scritta, di contenuto uguale a quello che avrebbe invece dovuto esservi inserito.». Va poi osservato in via generale - in disparte i differenti profili di perplessita' (che saranno esaminati infra) - che una previsione di nullita' «a monte», ossia del bando, e' pienamente compatibile, sul piano logico-giuridico e dal punto di vista funzionale, con una differente norma che commini un'analoga invalidita' del contratto stipulato «a valle» della medesima procedura. Quanto poi ai argini di applicabilita' del meccanismo di integrazione automatica delle nullita' parziali, di cui agli artt. 1339 e 1419 c.c. (sempre che detto congegno normativo possa reputarsi valevole de plano anche per i provvedimenti amministrativi), occorre ulteriormente osservare che, almeno in relazione all'invalidita' specificatamente sanzionata dal comma 1 dell'art. 2 della l.r. n. 15/2008 (non forse per il comma 2, nonostante la sospetta incostituzionalita', anche di questo comma, sotto altri profili), il suddetto meccanismo di sostituzione automatica di clausole si presenta manifestamente inapplicabile per la semplice e dirimente ragione che non esiste alcuna clausola, contemplata da una norma imperativa, che possa essere applicata in sostituzione di quella ipoteticamente mancante. Difatti, non potrebbe trovare applicazione la norma statale di cui all'art. 3 della l. n. 136/2010, giacche' essa si riferisce al solo contratto e contempla la possibilita' che il conto corrente utilizzato non sia unico. D'altronde, nemmeno potrebbe ritenersi consentito all'interprete, nel silenzio dell'atto indittivo, di andare al di la' della mera individuazione della norma imperativa recante la clausola da sostituire a quella contra legem oppure omessa; sicuramente poi l'esegesi non potrebbe autonomamente essere spinta fino al punto di «costruire» ex post una regola, ipoteticamente vincolante per tutte le imprese in gara (sebbene a queste sconosciuta all'epoca di presentazione delle rispettive domande di partecipazione), circa l'effettuazione, in caso di aggiudicazione del contratto esitato, di tutti i pagamenti su un unico conto corrente (che, del resto, le imprese dovrebbero altresi' indicare). 17. - Sui motivi che inducono questo Consiglio a dubitare della legittimita' costituzionale dell'art. 2, commi 1 e 2, della l.r. n. 15/2008 valgano le seguenti considerazioni. A tal riguardo si precisa che alcune delle perplessita' di ordine costituzionale che saranno sviluppate sono comuni a quelle espresse nelle succitate ordinanze n. 2054 e 2055 del 2013, del T.a.r. per la Sicilia, sede di Palermo (nelle quali peraltro sono stati anche diffusamente ricostruiti i termini del dibattito giurisprudenziale sull'art. 2 della l.r. n. 15/2008, ricostruzione che, in questa sede, si ritiene di poter omettere), altri dubbi vengono, invece, qui sollevati per la prima volta (almeno a quanto consta a questo Consiglio). Per ragioni espositive si illustreranno dapprima (motivi da I a IX) le perplessita' relative ad entrambi i commi (ossia i commi 1 e 2; mentre il comma 3 non dovrebbe poter logicamente sopravvivere all'eventuale, futura, dichiarazione di incostituzionalita' dei primi due) dell'art. 2 della l.r. n. 15/2008 e poi quelle relative ai singoli commi (rispettivamente i motivi da X a XI per il comma 1 e da XII a XIV per il comma 2). Non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2, commi 1 e 2, della l.r. n. 15/2008, in relazione all'art. 14, primo comma, lett. g), dello Statuto della Regione siciliana: come si e' sopra riferito, l'art. 14, primo comma, lett. g), dello Statuto della Regione siciliana detta una norma di rango costituzionale che contempla si' una potesta' esclusiva della Regione nella materia degli appalti pubblici, ma limitatamente ai «lavori». Tale aspetto di possibile incostituzionalita' della disposizione e', nella fattispecie, rilevante, giacche' - come sopra osservato - l'appalto controverso attiene a servizi (v., in tal senso, la sentenza n. 1/2014). Il Collegio e' poi dell'opinione che, in parte qua, il dettato dello Statuto richieda un'interpretazione rigorosa, ossia nel senso che la competenza legislativa esclusiva della Regione siciliana non possa intendersi estesa anche agli appalti di servizi e di forniture. Cio' non solo perche' lo Statuto, nella parte in cui deroga a compresenti competenze legislative statali (ad esempio, per quanto riguarda gli appalti, al titolo che attribuisce allo Stato una competenza legislativa in materia di tutela della concorrenza ex art. 117, secondo comma, lett. e), Cost.), deve essere interpretato in via restrittiva al pari di tutte le norme di deroga, ma anche perche' - a seguito dell'entrata in vigore di vincolanti principi del diritto eurounitario in materia di procedura di affidamento di appalti pubblici - il valore precettivo dell'art. 14, primo comma, lett. g), dello Statuto si e' indirettamente modificato: infatti, uno dei capisaldi della disciplina sovranazionale (che sicuramente condiziona l'esegesi del corrispondente dato normativo interno), sviluppatasi nelle varie direttive che nel corso del tempo si sono succedute, da sempre e' ravvisabile nella nitida distinzione esistente tra le procedure di affidamento degli appalti pubblici in ragione dell'oggetto dei rispettivi contratti messi a gara - lavori, servizi e forniture -, di guisa che, nella materia, il termine «lavori» ha acquisito una specifica connotazione tecnica e copre un'area semantico-giuridica esattamente definita. Non puo' dunque ritenersi, anche a voler eventualmente ipotizzare un certo tasso di imprecisione dell'originaria scelta lessicale compiuta dal Legislatore statutario, che detta area abbia potuto conservare una latitudine idonea a comprendere, oltre a quelli di lavori, anche gli appalti di servizi e di forniture. Orbene, non vi e' dubbio che il tenore letterale dell'art. 2 della l.r. n. 15/2008 si riferisca genericamente e indistintamente a tutti gli appalti, senza distinguere in base all'oggetto dei medesimi, cosi' precludendo all'interprete ogni spazio per sviluppare un'esegesi costituzionalmente orientata delle norme in esso contenute, giacche' l'ipotetica esclusione degli appalti di servizi e di forniture dall'alveo applicativo della disposizione non avrebbe il significato di una mera interpretazione costituzionalmente orientata, ma si tradurrebbe in una vera e propria nomopoiesi giurisprudenziale volta a introdurre delle eccezioni non previste. II) Non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2, commi 1 e 2, della l.r. n. 15/2008, in relazione all'art. 14, primo comma, lett. g), dello Statuto della Regione siciliana, sotto altro profilo: le considerazioni sopra spiegate valgono anche sotto un differente profilo e illuminano un distinto aspetto di possibile incostituzionalita' della disposizione regionale. Si e' ricordato, infatti, che la legislazione esclusiva regionale in materia di lavori pubblici non investe le «grandi opere pubbliche di interesse prevalentemente nazionale; ...». Ebbene, se riguardata da siffatto versante, anche tale precisazione e' rilevante nella fattispecie, non potendosi dubitare, sia per le caratteristiche dell'opera, per l'importanza commerciale del Porto di Palermo e per l'entita' economica dell'appalto, che la gara controversa abbia avuto ad oggetto un'opera pubblica di prevalente interesse nazionale. Va del pari rilevato che l'art. 2 della l.r. n. 15/2008 non distingue affatto tra opera e opera ne' reca alcuna specifica eccezione all'applicabilita' delle norme con esso introdotte alle opere di interesse prevalentemente nazionale. III) Non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2, commi 1 e 2, della l.r. n. 15/2008, in minime all'art. 3, secondo comma, Cost.: le disposizioni di cui ai primi due commi dell'art. 2 della l.r. n. 15/2008 contengono norme la cui applicazione conduce a conseguenze platealmente irrazionali sotto il profilo giuridico e tale situazione induce a dubitare della ragionevolezza intrinseca delle previsioni. Si consideri, in particolare, che la sanzione di nullita' dei bandi, per le cause indicate dalla legge regionale, puo' sortire l'effetto (come si potrebbe verificare nel caso di specie) di porre nel nulla procedure di gara che, a parte le carenze prescrittine dei relativi bandi rispetto a quanto stabilito dal predetto art. 2, si siano svolte in modo del tutto regolare e in piena legittimita'. Occorre poi considerare che la nullita' da' luogo a un'invalidita' irrimediabile e definitiva, nel senso cioe' che si e' al cospetto di un vizio genetico del provvedimento non suscettibile di convalida e che impedisce qualsiasi forma di autotutela orientata alla «sanatoria» (giacche' un intervento del genere sarebbe contra legem). Il quadro di complessiva irrazionalita' degli effetti scaturenti dalle previsioni dell'art. 2 e' ancor piu' aggravato, ove possibile, dalla circostanza che la nullita' nemmeno potrebbe essere impedita da comportamenti iperconformi di imprese concorrenti le quali, in ipotesi, una volta appreso del contenuto carente dei bandi di procedure alle quali abbiano preso parte, si accordassero per indicare nelle loro offerte quel conto unico prescritto dalla l.r. n. 15/2008; l'accertata invalidita' del bando travolge poi l'intera gara, con il conseguente dispendio delle relative risorse pubbliche utilizzate per indire e svolgere la procedura (senza considerare i connessi rischi di perdita di fondi pubblici o comunitari): a ben vedere, infatti, l'unico modo per evitare il prodursi della nullita' consisterebbe nell'annullamento in autotutela dell'intero bando, una volta pubblicato, e nella rinnovata emanazione dello stesso, emendato delle ridette lacune prescrittive (ma il successo di tali «salvataggi» delle procedure gia' indette dipenderebbe, all'evidenza, dalla differente capacita' delle singole stazioni appaltanti di percepire con tempestivita' gli eventuali vizi dei bandi). Tale soluzione peraltro, oltre a non far venir meno le conseguenze «irrazionali» sopra descritte, esporrebbe comunque l'amministrazione a responsabilita' (di natura precontrattuale o extracontrattuale), tanto piu' gravi all'accrescere dello iato temporale tra la pubblicazione del bando e il suo successivo annullamento: piu' in particolare, una responsabilita' dell'amministrazione sarebbe certa (atteso che la violazione dell'art. 2 sarebbe unicamente ascrivibile a colpa della stazione appaltante) ogniqualvolta l'annullamento d'ufficio del bando intervenisse dopo la scadenza dei termini per la presentazione delle offerte (e, una volta superato tale snodo procedimentale, l'entita' delle conseguenze risarcibili potrebbe soltanto incrementarsi). Una responsabilita' del genere, tuttavia, potrebbe insorgere, in certi casi e per alcuni tipi di procedure, anche nelle ipotesi in cui la nullita' degli atti indittivi fosse individuata dall'amministrazione subito dopo la pubblicazione degli stessi. In ogni caso, comunque, pure l'opzione del tempestivo annullamento d'ufficio si risolverebbe sempre in uno spreco di risorse pubbliche, in relazione ai costi, diretti e indiretti, del ritiro di un bando gia' pubblicato. I superiori rilievi portano a ritenere che i primi due commi dell'art. 2 della l.r. n. 15/2008 siano disposizioni manifestamente e intrinsecamente irragionevoli e che tale irragionevolezza emerga dalla stessa interpretazione applicativa delle due previsioni, senza necessita' di ricorrere ad elementi estranei al dettato normativo (v., tra le altre, Corte cost. nn. 53/1958; 81/1963; 41/1994; 166/1994; 169/1994; 356/1995 e 374/1995). La previsione delle due nullita' speciali, in ragione delle conseguenze radicali da esse derivanti, non assicurano il raggiungimento delle finalita' che apparentemente il Legislatore regionale si era prefigurato e, ancor piu', gli automatismi invalidanti e non sanabili, introdotti con i primi due commi della l.r. n. 15/2008, si palesano sproporzionati, oltre che lesivi di un legittimo affidamento, laddove finiscono per traslare sull'impresa aggiudicataria incolpevole gli effetti della violazione della disposizione regionale da parte della stessa stazione appaltante. IV) Non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2, commi 1 e 2, della l.r. n. 15/2008, in relazione all'art. 3, secondo comma, Cost., sotto altro profilo: sulla scorta delle considerazioni svolte in relazione al precedente profilo, emergono ulteriori aspetti di sospetta costituzionalita' delle disposizioni regionali in esame. L'irragionevolezza sopra descritta e' dovuta infatti al plateale scarto esistente tra le rationes normative sottese ai due commi dell'art. 2 della l.r. n. 15/2008 (rispettivamente, la tracciabilita' dei flussi finanziari e il controllo sulle qualita' soggettive dei partecipanti alla gara): si e' cioe' in presenza di un plateale scostamento, per illogico eccesso, tra gli scopi avuti di mira dal Legislatore regionale, sopra richiamati, e lo strumento giuridico utilizzato (ossia l'introduzione di una nullita' provvedimentale), la cui concreta applicazione da' luogo ad effetti dirompenti e manifestamente esorbitanti rispetto agli obiettivi perseguiti. Tale illogicita' affiora, come rilevato, dalla stessa considerazione del dispositivo delle due disposizioni regionali, ma si rivela in modo ancor piu' eclatante a seguito della comparazione del dato positivo regionale con quello dettato, per le medesime finalita', dal Legislatore statale. Invero, onde assicurare la tracciabilita' dei flussi finanziari correlati alle procedure di affidamento di appalti pubblici, il Legislatore regionale ben avrebbe potuto ricorrere a un meccanismo invalidativo analogo a quello disciplinato dal succitato art. 3 della l. n. 136/2010, che colloca la sanzione della nullita' esclusivamente sul versante contrattuale, facendo salva la presupposta procedura amministrativa. In tal senso il Collegio ritiene, difatti, di poter condividere le considerazioni svolte sul punto dal T.a.r. per la Sicilia, nella sentenza impugnata, secondo cui: «Con l'art. 3 della l. n. 136 del 2010 ... (a)nzicche' disporre l'obbligo di inserire la c.d. «clausola di salvaguardia della tracciabilita' finanziaria» - cosi' sinteticamente definita - nei bandi e sotto pena di nullita' degli stessi (soluzione, questa, prescelta dalla legge regionale), la normativa statale ha imposto che la predetta «clausola» venga inserita, in un momento successivo, nel contratto da stipulare a seguito del provvedimento di aggiudicazione. E cio' sotto comminatoria, per il caso di violazione dell'obbligo in questione, della nullita' del contratto. Dal punto di vista della tecnica legislativa, appare ictu oculi evidente come la sopradescritta disciplina introdotta dal Legislatore statale sia migliore - in quanto ben piu' conforme ai criteri di efficacia, efficienza, economicita' e proporzionalita' nei quali si concreta il c.d. «buon andamento dell'amministrazione» - rispetto a quella posta dal Legislatore regionale; e cio' in quanto la normativa statale evita che in conseguenza ed a cagione dell'omesso inserimento della piu' volte menzionata «clausola» nei bandi, gare d'appalto gia' utilmente espletate possano (rectius: debbano) essere annullate ad aggiudicazione ormai avvenuta, con evidente ed illogico spreco di tempo, attivita' amministrativa e pubbliche risorse. In altri termini, cio' di cui il Legislatore regionale non ha tenuto conto - denotando una foga censoria inutilmente sopradimensionata rispetto all'obiettivo da perseguire - e': che la c.d. «clausola di tracciabilita' dei flussi finanziari» puo' essere efficacemente utilizzata e valorizzata, quale strumento per il conseguimento dell'obiettivo di «prevenzione anticrimine» al quale e' preordinata, anche in un momento successivo a quello della pubblicazione del bando (e finanche di celebrazione della gara); cio' che puo' utilmente avvenire inserendola, al momento della stipula, nei contratti esecutivi dei provvedimenti di aggiudicazione; che, pertanto, non ha senso annullare inopinatamente l'intera gara quando nulla impedisce di «conservare» utilmente gli effetti di tutta l'attivita' procedimentale - nella specie: di quella volta alla scelta del contraente fino al provvedimento di aggiudicazione - legittimamente condotta (e percio' stesso foriera di legittime aspettative in capo all'aggiudicatario).». Con riferimento, invece, al profilo del controllo delle qualita' soggettive dei partecipanti alle procedure, il parametro di riferimento, di rango primario, e' costituito dall'art. 38, comma 1, lett. b), c), del d.lgs. n. 163/2006 (recepito in Sicilia con la l.r. 12/2011). Difatti, molto piu' ragionevolmente e piu' efficacemente dell'art. 2, comma 2, della l.r. n. 15/2008, che prevede la nullita' dei bandi in caso di mancato inserimento di una clausola sulla risoluzione del contratto nell'ipotesi in cui il legale rappresentante o uno dei dirigenti dell'impresa aggiudicataria siano stati rinviati a giudizio per favoreggiamento nell'ambito di procedimenti relativi a reati di criminalita' organizzata, l'art. 38 impone alle amministrazioni appaltanti di effettuare un controllo individualizzato, in sede di ammissione delle imprese concorrenti, sui requisiti generali dei partecipanti (e, in particolare, con riferimento alle eventuali pendenze di procedimenti volti all'applicazione di misure di prevenzione o alla eventuale sussistenza di precedenti penali), destinato a concludersi, non gia' con la radicale nullita' della procedura (per l'omessa indicazione nel bando di una causa di risoluzione del contratto in caso di aggiudicazione), ma, al piu', con l'esclusione della singola impresa. Diversamente il citato art. 2, comma 2, della l.r. n. 15/2008 individua nel rinvio a giudizio non un requisito di partecipazione - e, quindi, una correlata ed eventuale causa di esclusione dalla gara - ma una causa di radicale nullita' del bando sul presupposto della mancanza, in esso, della clausola risolutiva prevista dall'art. 2, comma 2, della l.r. n. 15/2008. V) Non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2, commi 1 e 2, della l.r. n. 15/2008, in relazione agli artt. 3, secondo comma, e 97, primo comma, Cost.: ancora nella scia delle superiori considerazioni, il Collegio ritiene che l'art. 2, commi 1 e 2, della l.r. n. 15/2008, a cagione della sopra evidenziata irragionevolezza (intrinseca e in via comparativa), sia altresi' in contrasto con il fondamentale canone del buon andamento amministrativo. Di tale canone generale, scolpito dall'art. 97 Cost., sono diretti corollari sia il principio di proporzionalita' sia quello di autotutela amministrativa, nella fattispecie sotto il profilo della tendenziale emendabilita', in ossequio al principio di conservazione degli effetti dell'azione amministrativa, delle eventuali difformita' degli atti adottati rispetto ai superiori paradigmi normativi. Sul primo aspetto, ossia in ordine alla violazione del principio di proporzionalita' - inteso quale scostamento, per eccesso, tra il mezzo utilizzato e il fine avuto di mira (cd. «regola del minimo mezzo») - valgano le precedenti considerazioni sulle conseguenze nefaste, per l'amministrazioni e per le imprese concorrenti (e, specialmente, per quelle risultate aggiudicatarie, gravate incolpevolmente degli errori delle amministrazioni indicenti), di previsioni che conducano all'inevitabile e radicale invalidazione di un intero procedimento e, quindi, a un effetto esorbitante rispetto al vizio indicato. Sul secondo aspetto puo' osservarsi che la preclusione di qualunque spazio per un intervento di «sanatoria» della stazione appaltante contrasta con la stessa giustificazione giuridica dell'autotutela amministrativa, costituente espressione di una potesta' generale (v. l'art. 21-octies della l. n. 241/1990) e immanente a ogni forma di esercizio di un pubblico potere, che ha, per l'appunto, lo scopo di consentire, tra l'altro, un costante e dinamico adeguamento dell'azione amministrativa al principio di legalita' e all'interesse pubblico. In ordine ai disastrosi esiti applicativi dell'art. 2, commi 1 e 2, della l.r. n. 15/2008 sul piano della correntezza amministrativa, anche sotto il profilo dei costi sopportati dalle stazioni appaltanti e dalle imprese, si rinvia a quanto sopra gia' osservato. VI) Non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2, commi 1 e 2, della l.r. n. 15/2008, in relazione agli art. 3, secondo comma, e 117, primo comma, Cost.: posto che il principio di proporzionalita' ha pure una nitido riflesso sovranazionale, trattandosi di un principio del diritto dell'Unione europea (v. il Protocollo sui principi di sussidiarieta' e di proporzionalita', allegato al Tratt. CE dal Trattato di Amsterdam), spesso applicato dalla Corte di Giustizia nelle sue decisioni (v., tra le molte, la sentenza del 9 novembre 1995, in causa C-426/93), i medesimi rilievi teste' svolti giustificano anche un sospetto di incostituzionalita' delle disposizioni regionali per contrato con il primo comma dell'art. 117 Cost. che vincola tutti il Legislatori della Repubblica italiana al rispetto dei vincoli dell'ordinamento comunitario. VII) Non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2, commi 1 e 2, della l.r. n. 15/2008, in relazione agli art. 3, 24 e 117, secondo comma, lett. l), Cost.: l'art. 2 della l.r. n. 25/2008 si pone apparentemente in contrasto con l'art. 117, secondo comma, lett. l), Cost., che riserva alla legislazione esclusiva dello Stato le materie della giurisdizione e della giustizia amministrativa. Invero le disposizioni regionali stabiliscono espressamente che l'eventuale violazione dei precetti da esse rispettivamente dettate dia luogo ad altrettante nullita' provvedimentali (non potendosi dubitare che il bando, quale atto indittivo di una procedura di affidamento di appalti pubblici, sia un provvedimento amministrativo). In altri termini, le violazioni in discorso, in deroga all'ordinario regime di illegittimita'/annullabilita' degli atti amministrativi, non determinano invalidita' suscettibili di condurre, qualora fatte valere in giudizio, all'annullamento dei bandi ipoteticamente viziati, ma comportano, sul piano sostanziale, l'applicazione delle regole fissate in via generale dall'art. 21-septies della l. n. 241/1990 e, sul versante processuale, di quelle di cui all'art. 31, comma 4, c.p.a. (d.lgs. n. 104/2010). Quest'ultima circostanza, per i fini che qui interessano, non e' priva di rilievo. Difatti, il Codice del processo amministrativo ha, come noto, differenziato la disciplina processuale dell'azione speciale volta a far valere la nullita' dei provvedimenti amministrativi, contenuta, per l'appunto, prevalentemente - sebbene non esclusivamente (v. anche l'art. 114 c.p.a.) - nel suddetto art. 31 c.p.a., da quella dell'azione generale di annullamento degli atti amministrativi, di cui all'art. 29 c.p.a. Le principali differenze tra le due azioni sono riconducibili: a) alla natura di accertamento dell'azione di nullita', a differenza della natura costitutiva di quella di annullamento (di qui la conseguente inapplicabilita', per impossibilita' strutturale, all'azione di nullita' del meccanismo di «conversione» di cui all'art. 34, comma 3, c.p.a.); b) alla previsione di distinti termini perentori di decadenza per la proposizione della relativa azione (di 180 giorni quello dell'azione di nullita'); c) alla opponibilita' e alla rilevabilita' d'ufficio della relativa eccezione; d) all'inapplicabilita' della regola speciale (e di natura processuale) di sanatoria dell'annullabilita' prevista dal comma 2, secondo periodo, dell'art. 21-octies della l. n. 241/1990. Da quanto sopra considerato discende che l'opzione legislativa tra la previsione della sanzione di nullita' o di annullabilita', a fronte di un vizio di un provvedimento amministrativo, non e' neutrale ne' scevra di conseguenze sul versante processuale, atteso che tale scelta - in ragione della richiamata diversita' di regime tra le due azioni contemplate dal d.lgs, n. 104/2010 - si riverbera sulle concrete possibilita' di difesa della parte interessata a far valere la specifica invalidita' amministrativa (incidentalmente si osserva che il regime processuale delle nullita' e' assai piu' favorevole, sotto il profilo della tutela degli interessi legittimi della parte ricorrente, di quello dell'annullabilita'; specularmente il regime processuale della nullita' e' assai piu' sfavorevole di quello dell'annullabilita' ove riguardato dal punto di vista delle possibilita' di difesa delle amministrazioni resistenti e degli eventuali controinteressati). Accostandosi alla questione da una differente prospettiva, puo' anche affermarsi che il Legislatore - comminando una nullita', in luogo di un'annullabilita' - determina anche il rimedio che l'interessato alla deduzione del vizio potra' azionare per tutelare i propri interessi legittimi e, parallelamente, anche la facolta' difensive delle amministrazioni resistenti e dei controinteressati. Tale conseguenza induce il Collegio a dubitare della stessa possibilita', per i Legislatori regionali, di introdurre sanzioni di nullita' degli atti amministrativi non contemplate dalla legislazione statale. Ed invero, ragionando a contrario (ossia ipotizzando la sussistenza di una possibilita' del genere), dovrebbe ritenersi legittimo anche il caso limite di una previsione regionale che riproduca il precetto di una norma statale e che, tuttavia, sanzionando la relativa violazione con una nullita' invece che con un'annullabilita', finisca per modificare, limitatamente all'efficacia territoriale della propria circoscrizione, un regime processuale (quello del giudizio amministrativo) che, per contro, deve essere unico e uniforme in tutto il territorio nazionale. Tale unitarieta', d'altronde, non e' solo una conseguenza imposta dalla esclusiva competenza legislativa statale in materia di giurisdizione ordinamento processuale e giustizia amministrativa, ma e' anche coessenziale alla necessita' di un'omogenea disciplina in tutta la Repubblica, per evidenti esigenze di parita' di trattamento, delle garanzie e delle modalita' di esercizio del diritto inviolabile di difesa. Al lume delle precedenti considerazioni sembra dunque doversi affermare che, attraverso l'introduzione delle nullita' di cui all'art. 2 della l.r. n. 15/2008, il Legislatore regionale siciliano abbia invaso le competenze che l'art. 117, secondo comma, lett. l), Cost. riserva in via esclusiva allo Stato. VIII) Non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2, commi 1 e 2, della l.r. n. 15/2008, in relazione all'art. 117, secondo comma, lett. l), Cost.: i primi due commi dell'art. 2 della l.r. n. 15/2008 sembrano collidere con l'art. 117, secondo comma, lett. l) anche sotto un differente profilo e, segnatamente, in relazione alla lesione della riserva all'esclusiva potesta' legislativa dello Stato della materia dell'ordinamento civile. Difatti l'omesso inserimento, nei bandi per l'affidamento di appalti pubblici (di importo superiore a 100.000 euro, nel solo caso della previsione di cui al comma 1 dell'art. 2), delle clausole rispettivamente indicate nei ridetti commi, non soltanto da' luogo a nullita' degli stessi bandi, ma - qualora le procedure si siano gia' concluse con l'aggiudicazione e con la successiva stipula dei contratti esitati - la violazione dell'art. 2 determina anche la risoluzione dei contratti medesimi. Piu' in particolare, il comma 2 della disposizione stabilisce che, nell'ipotesi in cui il legale rappresentante o uno dei dirigenti dell'impresa aggiudicataria siano stati rinviati a giudizio per favoreggiamento nell'ambito di procedimenti relativi a reati di criminalita' organizzata, il contratto di appalto eventualmente gia' stipulato si risolve ex lege; nel comma 1 il terzo periodo prevede, invece, che «il mancato rispetto dell'obbligo di cui al presente comma comporta la risoluzione per inadempimento contrattuale»:. La risoluzione in questo secondo caso consegue cioe' all'inadempimento, da parte degli aggiudicatari, dell'obbligo di indicare un numero di conto corrente unico sul quale far confluire tutte le somme relative all'appalto (nonche' quello di effettuare esclusivamente a mezzo di bonifico bancario, bonifico postale o assegno circolare non trasferibile i pagamenti delle retribuzioni del personale). All'evidenza, seppure per il tramite della fissazione del contenuto dei bandi di gara (nei quali devono essere inserite le clausole sopra descritte), e' evidente come l'art. 2 della l.r. n. 15/2008 abbia introdotto, soltanto nell'ordinamento regionale siciliano, due nuove ipotesi di risoluzione dei contratti di appalto, non contemplate dalla legislazione statale. Ancorche' si tratti di fattispecie tra loro differenti, posto che la risoluzione di cui al comma 2 e' un effetto automatico del rinvio a giudizio, per il reato di favoreggiamento ivi richiamato, del legale rappresentante o di un dirigente dell'impresa aggiudicataria, mentre quella contemplata dal comma 1 e' una risoluzione per inadempimento, nondimeno in entrambe le ipotesi si e' al cospetto di cause di risoluzione del contratto di appalto che non trovano corrispondenza (o, meglio, esatta corrispondenza nel caso di quella del comma 1 dell'art. 2 della l.r. n. 15/2008) nella legislazione statale. Risulta allora violata, dal Legislatore regionale, la competenza esclusiva dello Stato a legiferare nella materia dell'ordinamento civile. Sul limite alla legislazione regionale in materia di ordinamento civile, valga richiamare l'orientamento espresso, anche di recente, dalla Corte costituzionale che, con la sentenza del 27 giugno 2013, n. 159, ha chiaramente affermato che l'art. 117, secondo comma, lett. 1), Cost. ha codificato il limite del «diritto privato», consolidatosi gia' nella giurisprudenza anteriore alla riforma costituzionale del 2001, secondo cui l'ordinamento civile si pone quale limite alla legislazione regionale, in quanto fondato sull'esigenza, sottesa al principio costituzionale di eguaglianza, di garantire nel territorio nazionale l'uniformita' della disciplina dettata per i rapporti tra privati, di guisa che la disciplina dei rapporti contrattuali va riservata alla legislazione statale. IX) Non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2, commi 1 e 2, della l.r. n. 15/2008, in relazione all'art. 117, secondo comma, lett. l), Cost.: l'art. 2 della l.r. n. 15/2008 detta disposizioni sulla validita' dei bandi relativi alle procedure di affidamento di appalti pubblici. La disciplina del contenuto dei bandi in questione, tuttavia, e' un aspetto qualificante della normativa sugli appalti pubblici; siffatta normativa, che trova nel Codice dei contratti pubblici (d.lgs. n. 163/2006) e nel relativo regolamento di esecuzione e attuazione (D.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207) il suo nucleo fondamentale (peraltro, in gran parte derivante dall'ordinamento sovranazionale), rientra, come in piu' occasioni chiarito dalla Corte costituzionale (tra le molte pronunce in tal senso, Corte cost. nn. 401/2007, 431/2007, 411/2008), nella materia della concorrenza, ambito riservato in via esclusiva alla legislazione dello Stato. Rispetto a tale ampia competenza nemmeno prevale la maggiore autonomia attribuita dall'ordinamento alle regioni a statuto speciale ed, anzi, proprio nel contenuto dei bandi di gara (con particolare riferimento a quello dettato dai bandi-tipo approvati dall'Autorita' di vigilanza sui contratti pubblici che e' amministrazione sicuramente riconducibile allo Stato), la Corte costituzionale ha di recente riconosciuto un ambito di formazione non suscettibile di interferenze neanche da parte delle autonomie a statuto speciale (Corte cost. 12 luglio 2013, n. 187). Ritiene, dunque, il Collegio che la disposizione regionale, anche sotto questo profilo, presti il fianco al dubbio che il Legislatore regionale abbia invaso un alveo di competenza statale. Non va poi obliterato che la Corte costituzionale, anche dopo la riforma del Titolo V, ha affermato che le disposizioni contenute nel Codice dei contratti pubblici - almeno per la parte in cui si correlano all'art. 117, secondo comma, lett. e) ed l), Cost., in tema di tutela della concorrenza e dell'ordinamento civile - devono essere ascritte, per il loro contenuto di ordine generale, all'area delle norme fondamentali di riforma economico e sociale, nonche' delle norme con le quali lo Stato ha dato attuazione agli obblighi internazionali nascenti dalla partecipazione dell'Italia all'Unione europea (v., in tal senso, ex multis, Corte cost. nn. 45/2010 e 114/2011). Quest'ultima considerazione vale, ovviamente, anche in relazione al precedente motivo. X) Non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 1, della l.r. n. 15/2008, n. 15, in relazione agli artt. 97, primo comma, e 117, secondo comma, lett. b), Cost.: come gia' osservato dal T.a.r. per la Sicilia, sede di Palermo, nelle recenti, sunnominate ordinanze di rimessione, l'art. 2, comma 1, della l.r. n. 15/2008 solleva dubbi di legittimita' costituzionale anche in relazione all'art. 117, secondo comma, lett. h) ed l). In particolare, la disposizione regionale sembra contrastare con la competenza legislativa esclusiva statale in materia di ordine pubblico e sicurezza. In tal senso vale richiamare i principi espressi dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 35 del 2012, con la quale e' stata affermata l'esistenza di una stretta connessione tra la materia sulla «tracciabilita' dei flussi finanziari» e quelle dell'ordine pubblico e alla sicurezza. Non varrebbe in contrario obiettare che la ridetta sentenza n. 35/2012 riguarda un provvedimento legislativo di una regione a statuto ordinario, giacche' non risulta logicamente ne' giuridicamente sostenibile, pur tenendo conto della specificita' della diffusione del fenomeno mafioso in talune aree del territorio nazionale (specificita' la cui considerazione, in relazione alla situazione siciliana, ha apparentemente ispirato il varo dell'art. 2 della l.r. n. 15/2008), che una disciplina afferente all'ordine pubblico e alla sicurezza possa mutare da un ambito regionale all'altro. Ne' varrebbe rilevare del resto che la ratio della suddetta disposizione regionale non sia unicamente quella di controllare la tracciabilita' dei flussi finanziari nell'ambito dei contratti di appalti pubblici, posto che pur potendosi valorizzare l'ipotesi ricostruttiva che ravvisa nel comma 1 dell'art. 2 succitato anche la risposta normativa ad un'esigenza di razionalizzazione funzionale dell'attivita' di gestione dei pagamenti, emerge in maniera evidente come la principale finalita' della previsione sia comunque quella di agevolare un controllo sui predetti flussi finanziari, al fine di prevenire infiltrazioni criminali e la consumazione di reati. Inoltre, giova richiamare il monito contenuto nella sunnominata sentenza n. 35/2012, secondo cui e' sempre necessario che eventuali misure predisposte nell'alveo di una competenza propria della Regione non costituiscano di per se' strumenti di politica criminale ne' generino interferenze, anche potenziali, con la disciplina statale di prevenzione e repressione dei reati, diversamente realizzandosi un'illegittima invasione della sfera di competenza legislativa dello Stato (non disponendo la Regione siciliana di alcuna competenza in materia di ordine pubblico e sicurezza). Non e' poi controvertibile che dal comma 1 dell'art. 2 derivino potenziali interferenze con gli ambiti normativi riconducibili alle materie della sicurezza e dell'ordine pubblico, condividendo la disposizione le medesime finalita' (almeno quelle prevalenti) dell'art. 3 della l. n. 136/2010 e attenendo le due disposizioni a quelle stesse materie indicate nelle sentenza n. 35/2012; d'altronde nemmeno e' sostenibile che le norme contenute nell'art. 3 della l. n. 136/2010 (espressione, per l'appunto, della surrichiamata competenza legislativa statale), espressamente finalizzate alla prevenzione, alla tutela e al contrasto di reati, anche di tipo mafioso, non siano entrate immediatamente in vigore anche in Sicilia a prescindere da qualunque recepimento da parte del Legislatore regionale. XI) Non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 1, della l.r. n. 15/2008, n. 15, in relazione agli artt. 117, secondo comma, Cost.: in aggiunta a quanto gia' osservato nel precedente motivo, va altresi' considerato che la l. n. 136/2010 trova necessaria e uniforme applicazione in tutto il territorio nazionale non soltanto per l'evidente esigenza logico-giuridica di contrastare, con eguale incisivita' e senza operare trattamenti differenziati tra zona e zona, il fenomeno ad alta diffusivita' del crimine organizzato, ma anche perche' il citato provvedimento statale, e segnatamente l'art. 3, presenta, ad avviso del Collegio, tutte le caratteristiche oggettive (atteso il contenuto della normativa, la sua motivazione politica e sociale e il massiccio tasso di innovativita') di una legge recante norme fondamentali di riforma economico e sociale che costituisce tuttora un limite generale alla legislazione regionale, anche di quella delle regioni a statuto speciale, nonche' un ambito, trasversale, di specifica competenza legislativa statale. Di qui il dubbio che, anche sotto tale profilo, l'art. 2, comma 1, della l.r. n. 15/2008 sia una disposizione incostituzionale. XII) Non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 2, della l.r. n. 15/2008, in relazione agli artt. 3, secondo comma, e 27, secondo comma, Cost.: come piu' volte accennato, il comma 2 dell'art. 2 della l.r. n. 15/2008 prevede la nullita' dei bandi (di tutti i bandi, senza nemmeno il limite del valore superiore a 100.000) che non stabiliscano la risoluzione del contratto nell'ipotesi in cui il legale rappresentante o uno dei dirigenti dell'impresa aggiudicataria siano stati rinviati a giudizio per favoreggiamento nell'ambito di procedimenti relativi a reati di criminalita' organizzata. Ad avviso del Collegio, tale ipotesi di risoluzione e la correlata sanzione di nullita' amministrativa del bando confliggono con l'art. 27, secondo comma, Cost., nella parte in cui il parametro costituzionale stabilisce una presunzione di non colpevolezza di ogni imputato sino alla condanna definitiva. In disparte l'opacita' precettiva della disposizione regionale, la cui imprecisione nemmeno consente di comprendere esattamente a quali ipotesi di reato (per i quali sia stato disposto il rinvio a giudizio) si riferisca la prescrizione (potrebbe trattarsi, ma il condizionale e' d'obbligo, dei delitti previsti e puniti dall'art. 378, secondo comma, c.p. nonche' dagli artt. 378, 379 c.p. e 7 del d.l. 13 maggio 1991, n. 152), appare di dubbia costituzionalita', per contrasto con la ridetta presunzione di non colpevolezza, la previsione di un'automatica risoluzione di un contratto in conseguenza del solo rinvio a giudizio (giudizio che potrebbe anche condurre a una sentenza di assoluzione), ossia a fronte di una mera ipotesi accusatoria che, al piu' (ipotizzando cioe' che il Legislatore regionale abbia utilizzato il termine «rinviati» in senso tecnico e, dunque, in relazione a quanto disposto dall'art. 429 c.p.p. e non anche in relazione all'art. 552 c.p.p.), sia stata sottoposta ad un vaglio giurisdizionale nei circoscritti ed esclusivi limiti della non ricorrenza dei casi in cui debba essere pronunciata, dal Giudice dell'udienza preliminare, sentenza di non luogo a procedere, a norma dell'art. 425 c.p.p. Il Legislatore regionale insomma, pur perseguendo il fine condivisibile del forte contrasto del fenomeno mafioso - che peraltro, giova ribadirlo anche a questo proposito, non rientra tra gli ambiti demandati alla sua competenza legislativa, questi essendo costituzionalmente riservati a quella statale -, sembra aver anticipato davvero eccessivamente la soglia della reazione repressiva dell'ordinamento nei confronti dei soggetti soltanto imputati di reati, sia pur gravi; tale reazione ordinamentale viene difatti ancorata dalla disposizione regionale ad elementi incriminatori che, nella fase del rinvio a giudizio, si presentano ordinariamente privi di una specifica consistenza nella prospettiva condannatoria e per i quali potrebbe perfino difettare un qualunque preventivo vaglio giurisdizionale, anche solo di natura preventiva o cautelare (se non nei limiti, si ripete, dell'insussistenza dei requisiti per l'esercizio dell'azione penale o della manifesta infondatezza dell'accusa alla stregua dell'art. 129 c.p.p.). Per di piu', la risoluzione del contratto di appalto gia' stipulato si configura come una conseguenza automatica, ossia disposta direttamente dalla legge, senza neanche l'intermediazione amministrativa di una valutazione discrezionale della stazione appaltante. Completa il quadro delle perplessita' suscitate dal comma 2 dell'art. 2 della l.r. n. 15/2008 la circostanza che la risoluzione automatica dei contratti di appalto in caso di rinvio a giudizio per i delitti sopra indicati riguardi unicamente i contratti aggiudicati in gare svoltesi in Sicilia. Per le ragioni teste' esposte, i profili di potenziale incostituzionalita' del comma 2 - come e' gia' stato palesato da questo Consiglio nell'ordinanza cautelare 16 ottobre 2013, n. 786 - sembrerebbero notevolmente piu' pregnanti, evidenti ed immediatamente percepibili, rispetto a quelli che pure si sono denunciati in riferimento al comma 1. XIII) Non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 2, della l.r. n. 15/2008, in inazione agli artt. 3, secondo comma, e 117, secondo comma, lett. l), Cost.: le considerazioni svolte nel precedente motivo inducono il Collegio a dubitare dell'incostituzionalita' dell'art. 2, comma 2, della l.r. n. 15/2008 anche sotto un differente profilo. La previsione regionale in esame, difatti, correla al mero rinvio a giudizio del legale rappresentante o di uno dei dirigenti dell'impresa aggiudicataria per favoreggiamento nell'ambito di procedimenti relativi a reati di criminalita' organizzata la risoluzione automatica del contratto di appalto eventualmente concluso con un'amministrazione regionale o infraregionale. In questo modo il Legislatore siciliano ha introdotto e disciplinato un nuovo effetto penale del rinvio a giudizio, con conseguente aggravamento del relativo regime che si traduce in una sorta di sanzione accessoria di natura civilistica (ovvero la risoluzione automatica del contratto concluso con l'amministrazione). Cosi' disponendo, tuttavia, la l.r. n. 15/2008 sembra aver invaso la competenza legislativa esclusiva spettante allo Stato in materia di ordinamento penale (comprensivo, ovviamente, delle misure preventive e degli effetti che il rinvio a giudizio possa produrre sulla capacita' di agire dei soggetti nei cui confronti sia in corso un processo penale). Il tema intercetta anche le argomentazioni sviluppate nel precedente motivo: difatti il Collegio non ignora che la regola scolpita dall'art. 27 Cost. sia suscettibile di temperamenti laddove il decorso del tempo possa costituire un pericolo per l'accertamento o la reiterazione di reato o per l'assicurazione dell'imputato o del reo alla Giustizia (come avviene per le misure cautelati personali e reali) o quando occorra applicare misure special-preventive, dirette ad evitare la commissione di reati da parte di determinate categorie di soggetti considerati socialmente pericolosi (come nel caso delle misure di prevenzione); ma l'effettuazione di tale contemperamento spetta unicamente alla potesta' legislativa esclusiva dello Stato in ambito penale. In linea con quanto gia' osservato dal T.a.r. per la Sicilia nelle ridette ordinanze di rimessione, occorre rilevare, sotto il profilo della ragionevolezza della disposizione per comparazione (ma ancora una volta pure sotto il profilo dell'illegittima invasione di una competenza legislativa attribuita in via esclusiva allo Stato), che una definitiva e automatica conseguenza sul contratto, quale quella disciplinata dall'art. 2, comma 2, della l.r. n. 15/2008, non trova riscontro neppure nell'art. 38 del d.lgs. n. 163/2006, il cui primo comma, alla lettera c), esclude dalla partecipazione alle gare i (soli) soggetti nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di condanna passata in giudicato, o emesso decreto penale di condanna divenuto irrevocabile, oppure sentenza di applicazione della pena su richiesta, ai sensi dell'art. 444 del codice di procedura penale, per reati gravi in danno dello Stato o della Comunita' che incidono sulla moralita' professionale; o sentenza di condanna, passata in giudicato, per uno o piu' reati di partecipazione a un'organizzazione criminale, corruzione, frode, riciclaggio, quali definiti dagli atti comunitari citati all'art. 45, paragrafo 1, direttiva CE 2004/18; indicando i titolari di poteri, di cui vanno accertati i predetti precedenti penali. La circostanza che siffatta interferenza legislativa regionale nell'ambito penalistico riguardi soltanto i contratti di appalto stipulati in Sicilia solleva un'ulteriore profilo di perplessita' sul versante della disparita' di trattamento. XIV) Non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 2, della l.r. n. 15/2008, in relazione all'art. 117, secondo comma, lett. b), Cost.: la circostanza che il comma 2 dell'art. 2 della l.r. n. 15/2008 configuri il rinvio a giudizio dei soggetti ivi menzionati quale causa di nullita' del bando (v., supra, il quarto motivo), rende evidente, qualora ce ne fosse ancora bisogno, che la principale finalita' della disposizione e' quella di contrastare il fenomeno della criminalita' organizzata, ponendosi, in tal modo, in conflitto con la riserva della legislazione esclusiva statale in materia ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lett. h), Cost.. Anzi, a ben vedere, per il comma 2 neppure appaiono agevolmente individuabili ulteriori finalita' del precetto, oltre a quella del contrasto al fenomeno criminale - come potrebbe invece supporsi, con riguardo al comma 1, per l'esigenza di garantire una trasparente e verificabile gestione del denaro ricevuto e impiegato dall'appaltatore per l'esecuzione dell'appalto - che possano aver concorso a motivarne l'inserimento nel tessuto normativo primario regionale: sicche', appunto con riguardo al comma 2, si ritiene di poter affermare che la finalita' di contrasto al fenomeno della criminalita' organizza, palesemente non di competenza regionale, sia stata l'unica, piuttosto che quella prevalente, ad aver supportato la formulazione di siffatta norma. 18. - In conclusione, sulla scorta di tutto quanto sopra osservato e considerato, il Collegio ritiene rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale che con la presente ordinanza viene rimessa alla corte Costituzionale in relazione ai parametri sopra indicati; per l'effetto, il processo, gia' parzialmente definito, va sospeso in relazione alle residue questioni proposte con l'appello, a norma dell'art. 79 c.p.a.