IL CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA 
 
    Ha pronunciato  la  presente  ordinanza  sul  ricorso  numero  di
registro generale 257 del 2013,  proposto  da:  Fincantieri  Cantieri
Italiani Navali S.p.A., rappresentata e difesa  dagli  avv.ti  Angelo
Clarizia, Ignazio Scardina, Gianni Zgagliardich, con domicilio eletto
presso l'avv. Ignazio Scardina in Palermo, via Rodi n. 1; 
    Contro Assessorato Regionale Attivita' Produttive,  rappresentato
e difeso per legge dall'Avvocatura, domiciliata in  Palermo,  via  De
Gasperi n. 81; 
    Nei confronti di Cimolai S.p.A., rappresentata e difesa dall'avv.
Salvatore Falzone, con domicilio  eletto  presso  Eros  Badalucco  in
Palermo, via Houel n. 4; Impresa Cooptata Metalmeccanica  Agrigentina
S.r.l.  -  Z.I.  Asi,  rappresentata  e  difesa  dall'avv.  Salvatore
Falzone, con domicilio eletto presso Eros Badalucco in  Palermo,  via
Villaermosa n. 18; 
    Per la riforma della sentenza del TAR Sicilia - Palermo:  Sezione
II, n. 00725/2013, del dispositivo di  sentenza  del  TAR  Sicilia  -
Palermo: Sezione II, n. 00572/2013, resa tra  le  parti,  concernente
servizi-ristrutturazione del bacino galleggiante  di  carenaggio  del
porto di Palermo-esclusione. 
    Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; 
    Viste le memorie difensive; 
    Visto l'art. 79, comma 1, cod. proc. amm.; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Relatore nell'udienza pubblica del giorno  12  dicembre  2013  il
Cons. Gabriele Carlotti e  uditi,  per  le  parti,  gli  avvocati  I.
Scardina, G. Zgagliardich, l'avv. dello Stato La Rocca  e  l'avv.  S.
Falzone; 
 
                                Fatto 
 
    1. - La Fincantieri cantieri italiani  navali  s.p.a.  (d'ora  in
poi: Fincantieri) ha impugnato la sentenza n. 725 del 26 marzo  2013,
con la quale il T.a.r. per la Sicilia, sede  di  Palermo  (sez.  II),
respinse l'impugnativa, articolata in un ricorso  introduttivo  e  in
successivi motivi aggiunti, promossa in primo  grado  dalla  medesima
Fincantieri, onde ottenere l'annullamento dei seguenti atti: 
      a) quanto al ricorso introduttivo, 
        i verbali di gara, in seduta pubblica,  del  4  luglio  2012,
dell'11 luglio 2012, del 3 aprile 2012 e del 4 aprile  2012,  nonche'
del verbale di gara, in seduta riservata, del 3  aprile  2012,  nelle
parti in cui si escluse la Fincantieri dalla gara  per  l'appalto  di
servizi e lavori di ristrutturazione relativi al bacino  galleggiante
di carenaggio, di 52.000 tonnellate, ormeggiato nel Porto di Palermo; 
        il bando e il disciplinare di gara, nelle parti in cui - come
interpretati  ed   applicati   dalla   Commissione   giudicatrice   -
precludevano alla Fincantieri di aggiudicarsi l'appalto in parola; 
        la nota,  prot.  22882,  del  4  aprile  2012  della  Regione
siciliana; 
      b) quanto ai motivi aggiunti, 
        il decreto del dirigente generale  della  Regione  siciliana,
Assessorato regionale delle attivita' produttive, n.  3460/1  del  30
ottobre 2012, nonche' la lettera di  comunicazione  del  28  novembre
2012; 
        la lettera della  Regione  siciliana,  Assessorato  regionale
delle attivita' produttive, del 10 dicembre 2012. 
    2.  -  Si  sono  costituiti,  per   resistere   all'impugnazione,
l'Assessorato regionale alle attivita' produttive  e  la  nonche'  la
Cimolai s.p.a. e la Metalmeccanica Agrigentina s.r.l. (nel prosieguo,
rispettivamente: Assessorato e, collettivamente, ATI Cimolai). 
    3. - All'udienza pubblica del 12 dicembre 2013 la causa e'  stata
trattenuta in decisione. 
    4. - Per una migliore intelligenza  delle  questioni  controverse
occorre riferire i fatti salienti della lite. 
    Nel 2012 l'amministrazione regionale indisse  una  procedura  per
l'affidamento dei lavori di ristrutturazione del bacino di carenaggio
da 52.000 tonnellate, sito nel porto di Palermo. 
    Alla gara europea, del valore a  base  d'asta  pari  a  oltre  33
milioni di  euro,  parteciparono  soltanto  la  Fincantieri  e  l'ATI
Cimolai. 
    In un primo momento (v. il verbale di gara del 4 aprile 2012), il
seggio di gara si oriento' nel senso di aggiudicare l'appalto,  fatte
salve talune riserve, alla Fincantieri. Successivamente,  tuttavia  -
avendo sciolto tali riserve in  senso  negativo  per  la  Fincantieri
- l'amministrazione, con provvedimento,  di  cui  al  verbale  del  4
luglio  2012,  confermato   in   data   11   luglio   2012,   dispose
l'aggiudicazione provvisoria dell'appalto in favore dell'ATI Cimolai. 
    La Fincantieri adi' il T.a.r. per la Sicilia,  sede  di  Palermo,
impugnando il provvedimento di aggiudicazione e tutti gli altri atti,
sopra indicati, chiedendone l'annullamento. 
    Con ordinanza n. 521 del 4 settembre 2012 il T.a.r.  respinse  la
domanda  cautelare  proposta  dalla  Fincantieri   e,   poi,   questo
Consiglio, con ordinanza n. 574 dell'8  ottobre  2012,  confermo'  la
pronuncia del Tribunale. 
    Con  decreto  dirigenziale,  n.  3460/1  del  30  ottobre   2012,
l'amministrazione  infine  dispose  l'aggiudicazione  definitiva   in
favore dell'ATI Cimolai e, con nota del 10 dicembre  2012,  ne  diede
comunicazione al  competente  Ufficio  rogante  per  la  stipula  del
contratto. 
    Con un successivo ricorso  per  motivi  aggiunti  la  Fincantieri
impugno' anche il ridetto provvedimento di aggiudicazione  definitiva
e gli atti ad esso connessi. Con i  motivi  aggiunti  la  Fincantieri
lamento', tra l'altro, anche  la  nullita'  radicale  del  bando  per
violazione dell'art. 2 della l.r. 20 novembre 2008,  n.  15,  recante
«Misure di contrasto alla criminalita' organizzata»  (nel  prosieguo:
l.r. n. 15/2008). 
    Con ordinanza n. 50 del 25 gennaio 2013 il T.a.r. - «riservata al
merito ogni statuizione in  ordine  alla  questione  di  legittimita'
costituzionale»  -  accolse  la  domanda  cautelare,  sospendendo   i
provvedimenti impugnati. 
    5. - Con la sentenza, ora gravata avanti a questo  Consiglio,  il
T.a.r. per la Sicilia, sede  di  Palermo,  ha  respinto  l'articolata
impugnativa, promossa  in  prime  cure,  dalla  Fincantieri,  con  le
seguenti argomentazioni: 
    5.1. - In via prioritaria il Tribunale  ha  scrutinato  il  primo
motivo  aggiunto  -  ravvisandone  il   carattere   pregiudiziale   e
assorbente - incentrato sulla dedotta violazione dell'art.  2,  comma
1, della l.r. n. 15/2008, secondo cui i bandi di gara  relativi  agli
appalti superiori a 100,00 (centomila/00)  euro,  che  non  prevedano
l'obbligo per gli  aggiudicatari  di  indicare  un  numero  di  conto
corrente unico sul quale gli enti appaltanti dovranno  far  confluire
tutte le somme, sono affetti da nullita' radicale; incidentalmente va
fin d'ora dato atto dell'incontestato  omesso  inserimento  di  detta
clausola, e pure di quella prescritta dal comma 2 del medesimo art. 2
della l.r. n. 15/2008, nel bando relativo alla procedura di  gara  al
centro del contendere. 
    Il Tribunale ha innanzitutto  premesso  che  la  nullita'  di  un
provvedimento consiste in un  vizio  insanabile  e  rilevabile  anche
d'ufficio dal giudicante in ogni grado e  stato  del  giudizio  (art.
21-sexies  della  l.  n.  241/1990)  e  che,  nel  caso  di   specie,
l'eventuale accertamento di  detta  nullita'  avrebbe  comportato  il
conseguente annullamento dell'intera procedura di gara; nondimeno  il
T.a.r. ha respinto la doglianza con le seguenti argomentazioni: 
      l'art. 117, comma 2, lett. h), della Costituzione - entrato  in
vigore in occasione della modifica del Titolo V  -  attribuisce  allo
Stato una  potesta'  legislativa  esclusiva  in  materia  di  «ordine
pubblico e sicurezza». 
      come affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n.  35
del 2012, la disciplina della «tracciabilita' dei  flussi  finanziari
relativi a pubblici appalti» va considerata una sub-materia interna a
quella  dell'«ordine  pubblico  e  della  sicurezza»  e,  rispetto  a
quest'ultima assorbente materia, la competenza a legiferare spetta in
via esclusiva allo Stato, in quanto unico Legislatore  deputato  alla
gestione  della  politica  di   prevenzione   e   repressione   della
criminalita' organizzata di matrice mafiosa; 
      d'altronde, proprio nell'esercizio di tale potesta' legislativa
esclusiva, il Legislatore statale ha approvato la l. n. 136 del 2010,
recante il «Piano straordinario contro le  mafie»  (e  la  delega  al
Governo per il riordino della normativa antimafia) che, all'art. 3  -
poi integrato dagli artt. 6 e 7 del d.l. 12 novembre  2010,  n.  187,
convertito in l. 17 dicembre 2010, n.  217  -,  reca  una  disciplina
generale in tema  di  tracciabilita'  e  di  trasparenza  dei  flussi
finanziari relativi  ai  pubblici  appalti,  uniforme  per  tutto  il
territorio nazionale e diversa  da  quella  dettata  dal  Legislatore
regionale siciliano con la citata l.r. n. 15/2008; 
      in forza di tale provvedimento, si sarebbe pertanto determinata
l'abrogazione di quella regionale; 
      non varrebbe difatti obiettare, contro tale conclusione circa i
rapporti tra le fonti in discorso, che ai sensi dell'art.  14,  comma
1, lett, g), dello Statuto d'autonomia siciliana, approvato con legge
costituzionale, la Regione vanti una potesta'  legislativa  esclusiva
in materia di «lavori pubblici» e cio' perche' la modifica  dell'art.
117 Cost., nonche' dell'intero  Titolo  V,  configurandosi  come  una
revisione della Carta Fondamentale intervenuta  successivamente  alla
promulgazione della legge costituzionale relativa allo Statuto  della
Regione siciliana (l. cost. n.  2  del  1948),  sarebbe  destinata  a
prevalere su quest'ultima,  parimenti  di  rango  costituzionale,  ma
cronologicamente  anteriore;  piu'  in  dettaglio,  l'erosione  dello
spazio di potesta' legislativa  esclusiva  precedentemente  riservata
alla Regione siciliana (in materia di  lavori  pubblici)  si  sarebbe
determinata  in  forza   di   una   norma   costituzionale,   recante
l'attribuzione allo  Stato  di  una  specifica  potesta'  legislativa
esclusiva; 
      inoltre, con l'art. 3 della  l.  n.  136/2010,  il  Legislatore
statale avrebbe optato per una soluzione  regolatoria  differente  da
quella scelta dal Legislatore regionale siciliano con la citata  l.r.
n. 15/2008, giacche', invece di disporre  l'obbligo  di  inserire  la
clausola di cui al comma 1 dell'art. 2, del cui  tenore  si  e'  dato
sopra conto, direttamente nei bandi e sotto pena  di  nullita'  degli
stessi, la normativa statale avrebbe imposto che una clausola analoga
sia inserita direttamente nel successivo  contratto  da  stipulare  a
seguito  del  provvedimento  di   aggiudicazione,   con   correlativa
previsione della sanzione di nullita' negoziale in caso di violazione
di detto obbligo; cosi' disponendo, dal punto di vista della  tecnica
legislativa, la disciplina introdotta dal Legislatore statale  meglio
si conformerebbe ai criteri di efficacia, efficienza, economicita'  e
proporzionalita', che connotano, in materia, il  canone  fondamentale
del  buon   andamento:   in   particolare,   la   normativa   statale
scongiurerebbe il rischio che, in conseguenza e a cagione dell'omesso
inserimento della summenzionata  clausola  nei  bandi,  si  determini
l'illogico e sproporzionato effetto  di  rendere  radicalmente  nulle
gare d'appalto gia' utilmente espletate e  finanche  dopo  l'avvenuta
aggiudicazione,  con  evidente  ed  illogico  spreco  di  tempo,   di
attivita' amministrativa e di pubbliche risorse. 
    5.2. - Cosi' respinto il primo motivo aggiunto, il T.a.r. e'  poi
passato ad esaminare le restanti doglianze, del pari rigettandole. 
    6. - Avverso la pronuncia,  teste'  sinteticamente  riferita  nei
suoi contenuti essenziali, ha proposto impugnazione la Fincantieri il
cui appello e' stato affidato a mezzi di gravame,  cosi'  ordinati  e
rubricati: 
      I) quanto al rigetto del primo motivo  di  ricorso  per  motivi
aggiunti in relazione alla nullita' a norma dell'art. 2 della l.r. n.
15/2008: violazione e falsa applicazione di legge;  erroneita'  della
sentenza   per   travisamento   dei   fatti   e   dei    presupposti;
contraddittorieta' e illogicita' manifesta; difetto  di  motivazione;
omessa valutazione e carenza di motivazione in relazione all'art.  2,
comma 2, della l.r. n. 15/2008; omissione e carenza di motivazione in
relazione alla doglianza relativa  all'illegittimita'  costituzionale
dell'art. 2 della l.r. n. 15/2008, sia con riferimento al comma 1 che
al comma 2, considerato che  la  questione  e'  stata  sollevata  nel
giudizio di primo grado; errata valutazione dell'art. 117,  comma  2,
lett. h), Cost. (che attribuisce allo Stato la  potesta'  legislativa
esclusiva in materia di «ordine pubblico e sicurezza») e della (sola)
sentenza n. 35/2012 della Corte costituzionale, desumendo altrettanto
erroneamente l'attrazione o  l'assorbimento  della  disciplina  della
tracciabilita' nell'orbita dell'ordine  pubblico  e  sicurezza  e  la
riserva assoluta, da parte dello Stato, della gestione della politica
di  prevenzione  e  repressione  della  criminalita'  organizzata  di
matrice mafiosa e quindi anche della disciplina della  tracciabilita'
dei  flussi  finanziari  (quale  sub-materia   afferente   all'ordine
pubblico e sicurezza); errata  valutazione  dell'art.  14,  comma  1,
lett. g), dello Statuto della Regione siciliana, che attribuisce alla
medesima Regione la potesta'  legislativa  esclusiva  in  materia  di
«lavori pubblici», per dedurne che l'art. 2 della  l.r.  n.  15/2008,
laddove emanato in forza di tale  potesta',  non  potrebbe  resistere
alla  sopraggiunta  legislazione  statale:  con  siffatta  articolata
censura la Fincantieri ha contestato sotto vari profili il percorso e
l'approdo motivazionale  con  il  quale  il  Tribunale  e'  giunto  a
statuire l'insussistenza del vizio di nullita' del bando di gara  per
violazione dell'art. 2 della l.r. n. 15/2008; 
      II) quanto al rigetto del secondo motivo di ricorso promosso da
Fincantieri nel primo  grado  del  giudizio:  erroneo  inquadramento,
sotto ogni  profilo,  dell'oggetto  dell'appalto  quale  «appalto  di
lavori» e completo travisamento  dello  stesso  oggetto  dell'appalto
messo in gara e conseguente travisamento dei requisiti effettivamente
richiesti  al  «progettista»  del  «servizio»,  come  deducibili  dal
regolamento di gara e della  normativa  in  materia  di  «appalti  di
servizi»; completo travisamento del quadro normativo  di  riferimento
dello specifico appalto di servizi e  della  relativa  progettazione,
come espressamente previsto  nella  lex  specialis  e  necessario  in
virtu' dello  specifico  oggetto  del  contratto  e  della  normativa
presupposta;  violazione  della  par  condicio   e   dell'affidamento
generato da altre  parallele  procedure  aventi  identico  oggetto  e
contemporaneamente svolte dalla medesima stazione appaltante; mancata
valutazione   della   documentazione   effettivamente   dimessa    da
Fincantieri in ordine ai requisiti  dei  progettisti;  contraddizione
della   motivazione   della   sentenza   impugnata   rispetto    alla
documentazione effettivamente presentata da Fincantieri; 
      III) quanto al rigetto del primo motivo di ricorso promosso  da
Fincantieri:  carenza  di   motivazione   sul   punto   specifico   e
travisamento dei fatti; 
      IV) riproposizione ai sensi dell'art. 101, comma 2, c.p.a., dei
motivi non esaminati dal T.a.r. per la Sicilia, sede di Palermo: 
        a) in via principale, 
      IV.1.) mancata esclusione dell'ATI Cimolai sia per  la  mancata
iscrizione del progettista nell'apposito registro che per la  mancata
prova dell'esperienza specifica dei medesimi progettisti sull'oggetto
della gara, oltre che per la mancata  comprova  dell'iscrizione  agli
Albi dei costruttori  e  riparatori  navali,  come  risultante  dalla
dichiarazione  di  gara;  violazione  di  legge,  dell'art.  277  del
regolamento di esecuzione del Codice  della  navigazione;  violazione
dell'art. 5 e 7 del d.m. n. 280/1992; violazione dell'art. 46,  comma
1-bis, del d.lgs. n. 16372006; eccesso di potere  per  disparita'  di
trattamento, travisamento e violazione della par condicio; 
        IV.2.) errata attribuzione di punteggi tecnici a  Fincantieri
e all'ATI Cimolai; eccesso di potere per disparita'  di  trattamento,
contraddittorieta', errore di fatto evidente; mancata valutazione  di
elementi conoscitivi specifici, contraddittorieta', travisamento; 
      b) in via subordinata, 
        IV.3.)  mancata  indicazione,  nei  verbali,   di   qualsiasi
riferimento alle modalita' di conservazione delle offerte e alla loro
sigillatura e quanto alla violazione del principio di  concentrazione
delle sedute di gara; violazione e falsa applicazione  del  principio
di  pubblicita'  delle  operazioni  di  gara,  di  legalita'   e   di
trasparenza; violazione e falsa applicazione del  principio  di  buon
andamento  e  imparzialita'  e  par  condicio  fra   i   concorrenti;
violazione del principio di concentrazione  e  di  continuita'  delle
sedute di gara; 
        IV.4.) mancanza di qualsiasi atto di nomina della Commissione
di gara e all'essere effettivamente i commissari  nominati  «esperti»
nello specifico settore; violazione di  legge,  violazione  dell'art.
84, commi 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8 e 10, del d.lgs. n. 163/2006; 
        IV.5.)  quanto  al  tempo  eccessivamente  ristretto  per  il
compimento di valutazioni tecniche complesse, eccesso di  potere  per
illogicita'  grave  e  manifesta   nel   valutare   le   domande   di
partecipazione e nell'assegnare i punteggi; difetto  di  istruttoria,
disparita' di trattamento,  lesione  della  par  condicio;  eccessiva
brevita' temporale della valutazione tecnica delle offerte; 
        IV.6.) violazione di legge, violazione degli artt. 11,  comma
5, 12, comma 1, 81, comma 3, del d.lgs. n.  163/2006;  violazione  di
legge, violazione dell'art.  3  della  l.  n.  24171990  (carenza  di
motivazione);  violazione  dei  principi  generali  in   materia   di
verifiche dell'aggiudicazione  provvisoria;  eccesso  di  potere  per
motivazione insufficiente; contraddittorieta', travisamento ed errore
di fatto e di diritto; 
        IV.7) violazione di legge, violazione dell'art. 6,  comma  3,
del d.P.R. n. 207/2010; violazione degli artt. 1  e  8  del  d.m.  24
ottobre 2008 in materia di DURC; violazione dell'art. 2 della  l.  n.
266/2002  in  materia  di  DURC;  violazione  di  legge,   violazione
dell'art. 3 della l. n. 241/1990  (omessa  motivazione);  eccesso  di
potere    per    motivazione    insufficiente,    contraddittorieta',
travisamento ed errore di fatto e di diritto; 
        IV.8.) domanda di risarcimento del danno. 
    7. - Interessa segnalare che, nello spiegare le  proprie  difese,
l'ATI Cimolai ha, tra l'altro, controdedotto che l'art. 2 della  l.r.
n. 15/2008 non sarebbe  applicabile,  per  varie  ragioni  (quali  la
rilevanza comunitaria dell'appalto, la pretesa abrogazione  implicita
della norma nello stesso ordinamento regionale in forza della l.r. n.
12/2011, l'operativita' della regola di cui all'art. 46, comma 1-bis,
del Codice degli appalti, ecc.), alla fattispecie in esame e, in ogni
caso, detta disposizione presterebbe il fianco a plurimi sospetti  di
incostituzionalita' per  violazione  dell'art.  117,  secondo  comma,
lett. e) e h), Cost., sotto vari profili. 
    8. - Con sentenza non definitiva n. 14 del 14 gennaio 2014 (d'ora
in poi: sentenza n. 1/2014), questo Consiglio, dopo aver  qualificato
la gara controversa come avente ad oggetto un appalto di servizi,  ha
respinto tutti i motivi di appello interposti dalla  Fincantieri,  ad
eccezione del primo mezzo di gravame, incentrato sulla violazione  da
parte della stazione appaltante, dell'art. 2 della l.r.  n.  15/2008,
essendo incontestato - si ribadisce - che gli  atti  indittivi  della
procedura in contestazione non rechino le clausole imposte, a pena di
nullita', dai primi due commi della succitata disposizione regionale.
A tal riguardo questo Consiglio ha tuttavia ravvisato dubbi in ordine
alla legittimita' costituzionale dell'art. 2 della l.r. n. 15/2008  e
quindi - riservata  ogni  ulteriore  statuizione  sul  merito  e  sul
regolamento delle spese processuali del giudizio - con la sunnominata
sentenza n. 1/2014, ha disposto, con separata ordinanza  (id  est  il
presente provvedimento), la trasmissione degli atti del processo alla
Corte costituzionale. 
 
                               Diritto 
 
    9. - Prima di illustrare le ragioni della ravvisata  rilevanza  e
della ritenuta non manifesta  infondatezza  della  questione  che  si
intende  sottoporre   al   vaglio   di   legittimita'   della   Corte
costituzionale,  giova  riportare   il   testo   della   disposizione
legislativa regionale attorno alla quale si addensano le perplessita'
del Collegio. 
    L'art. 2 della l.r. n. 15/2008, come modificato  dalla  dall'art.
28, comma 1, lett. a), della l.r. 14 maggio 2009, n. 6  (a  decorrere
dal 1° gennaio  2009),  rubricato  «Conto  unico  per  gli  appalti»,
recita: «1. Per gli appalti di importo superiore a  100  migliaia  di
euro, i  bandi  di  gara  prevedono,  pena  la  nullita'  del  bando,
l'obbligo per gli  aggiudicatati  di  indicare  un  numero  di  conto
corrente unico sul quale gli enti appaltanti fanno confluire tutte le
somme relative all'appalto. L'aggiudicatario si avvale di tale  conto
corrente per tutte le operazioni  relative  all'appalto,  compresi  i
pagamenti   delle   retribuzioni   al   personale   da    effettuarsi
esclusivamente a mezzo  di  bonifico  bancario,  bonifico  postale  o
assegno circolare non trasferibile. Il mancato rispetto  dell'obbligo
di cui al presente comma compatta la  risoluzione  per  inadempimento
contrattuale. 
    2. I bandi di gara prevedono, pena la nullita' degli  stessi,  la
risoluzione   del   contratto   nell'ipotesi   in   cui   il   legale
rappresentante o uno dei dirigenti dell'impresa aggiudicataria  siano
rinviati a giudizio per favoreggiamento nell'ambito  di  procedimenti
relativi a reati di criminalita' organizzata. 
    3. Gli enti appaltanti verificano il rispetto degli  obblighi  di
cui ai commi 1 e 2.». 
    Sulla rilevanza della questione di legittimita' costituzionale 
    10. - Il  Collegio  ritiene  che  la  questione  di  legittimita'
costituzionale, meglio  dettagliata  nei  successivi  paragrafi,  sia
rilevante ai  fini  del  decidere.  Si  e'  difatti  riferito,  nella
superiore narrativa del fatto, che con la  sentenza  n.  1/2014  sono
state esaminate e decise  da  questo  Consiglio  tutte  le  questioni
devolute in secondo grado,  ad  eccezione  di  quella  relativa  alla
violazione dell'art. 2 della l.R, n. 15/2008.  Piu'  in  particolare,
secondo  questo  Consiglio,  la  Fincantieri  ha  perso  la  gara  in
contestazione e che la  procedura  di  affidamento,  in  disparte  la
questione afferente la violazione del succitato art. 2, si e'  svolta
in modo legittimo; inoltre correttamente il T.a.r.  per  la  Sicilia,
sempre fatta salva la questione  attinente  all'art.  2  (su  cui  v.
subito infra), ha scrutinato i motivi dell'originaria impugnativa. Da
cio' consegue  che,  laddove  la  Corte  costituzionale  non  dovesse
condividere le perplessita' nutrite da  questo  Consiglio  in  ordine
all'art. 2 della l.r. n. 15/2008,  allora  la  controversia  dovrebbe
essere  decisa  in  senso  favorevole  alle  tesi  patrocinate  dalla
Fincantieri  -   obiettivamente   sussistendo   il   vizio   radicale
denunciato, consistito nella violazione dell'art.  2  della  l.r.  n.
15/2008 - con conseguente  dichiarazione  di  nullita'  del  bando  e
necessariamente, in via derivata, di tutti i  successivi  atti  della
procedura, ivi inclusa l'aggiudicazione. 
    Non v'e' dubbio, poi, che  la  Fincantieri  sia  titolare  di  un
interesse strumentale alla rinnovazione della gara una  volta,  e  in
ipotesi, invalidata ab imis la procedura; nemmeno puo' dubitarsi  che
detto interesse, nonche' quello connesso all'eventuale riconoscimento
di un risarcimento del danno per perdita di chance, sia tutelabile in
via giurisdizionale. 
    Di contro, qualora la  Corte  costituzionale  dovesse  dichiarare
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 2 della  l.r.  n.  15/2008,
allora l'ATI Cimolai risulterebbe definitivamente vittoriosa e questo
Consiglio dovrebbe limitarsi a respingere il  motivo  residuo,  ossia
quello relativo alla nullita' del bando  per  violazione  del  citato
art. 2, e la connessa domanda  risarcitoria,  e  a  pronunciarsi  sul
regolamento delle spese processuali del giudizio. 
    Sulla non manifesta infondatezza della questione di  legittimita'
costituzionale 
    11. -  Al  fine  di  chiarire  le  ragioni  della  ravvisata  non
manifesta    infondatezza    della    questione    di    legittimita'
costituzionale, occorre innanzitutto muovere dalla considerazione che
la Fincantieri ha lamentato la violazione, da  parte  della  stazione
appaltante, di entrambi i commi dell'art. 2 della l.r. n. 15/2008. 
    12. - Si  deve  altresi'  premettere  che  questo  Consiglio  non
condivide  le  ricostruzioni  del  quadro  normativo  rispettivamente
svolte dal T.a.r. per la Sicilia, sede  di  Palermo,  nella  sentenza
impugnata e dall'ATI Cimolai nelle difese da Questa spiegate. 
    13. - Principiando dalla  posizione  espressa  dal  T.a.r.,  deve
osservarsi come il Primo Giudice abbia in essenza ritenuto che l'art.
2 della l.r. n. 15/2008 sia una disposizione  non  piu'  vigente,  in
quanto abrogata. 
    Ad avviso del Tribunale tale abrogazione  -  poiche'  sicuramente
non disposta espressamente da alcun  provvedimento  regionale  avente
forza e valore di legge - si sarebbe determinata per incompatibilita'
tra la suddetta disposizione e le successive previsioni  statali,  di
rango sia costituzionale  sia  primario.  In  particolare,  l'effetto
abrogativo, nell'opinione del T.a.r., scaturirebbe: 
      I) dal combinato disposto degli artt. 117, secondo comma, lett.
h), Cost. e  3  della  l.  n.  136/2010,  essendo  la  materia  della
«tracciabilita'   dei   flussi   finanziari»   attratta   in   quella
dell'«ordine pubblico e sicurezza»; 
      II) dall'avvenuta «erosione»  (rectius,  parziale  abrogazione)
dell'ambito di applicabilita' dell'art. 14, primo  comma,  lett.  g),
dello Statuto d'autonomia  della  Regione  siciliana  in  conseguenza
dell'intervenuta revisione del Titolo V della Costituzione. 
    Ad avviso di questo Consiglio, entrambe le argomentazioni addotte
dal Tribunale a sostegno dei  riferiti  approdi  esegetici  non  sono
convincenti. In primo luogo, contro dette  conclusioni  va  osservato
che - quand'anche, solamente exempli causa, si potesse condividere la
ricostruzione del  fenomeno  abrogativo  come  determinatosi  gia'  a
livello  costituzionale  (nei  sensi  cioe'  dell'avvenuta   parziale
abrogazione, in forza dell'art. 117, secondo comma, lett.  h),  Cost.
dell'art. 14, primo  comma,  lett.  g)  dello  Statuto  regionale)  -
siffatta successione cronologica di formanti costituzionali di  certo
non determinerebbe automaticamente, al livello inferiore delle  fonti
di rango primario, alcuna abrogazione: semmai la norma regionale  che
ipoteticamente  venisse  a  trovarsi  in  contrasto  con  il  diverso
contesto  costituzionale,  come  configuratosi  per  effetto   e   in
conseguenza  del  descritto  fenomeno  abrogativo,  dovrebbe   essere
rimossa (in assenza di un intervento del  Legislatore  regionale,  di
natura abrogativa o in via di interpretazione autentica) mediante una
pronuncia della Corte costituzionale. 
    Peraltro, in secondo luogo e sebbene il precedente rilievo assuma
carattere  assorbente,  nemmeno  convince  la  tesi  della   (totale)
abrogazione, in forza della novella dell'art.  117  Cost.,  dell'art.
14, primo comma,  lett.  g),  dello  Statuto  regionale.  Ed  invero,
siffatta previsione (del r.d.lgs. 15 maggio 1946, n. 455,  convertito
in legge costituzionale in virtu' della l. cost. 26 febbraio 1948, n.
2) - che nella parte d'interesse  recita:  «L'Assemblea,  nell'ambito
della Regione e nei limiti delle leggi  costituzionali  dello  Stato,
senza pregiudizio delle  riforme  agrarie  e  industriali  deliberate
dalla Costituente del popolo italiano, ha la  legislazione  esclusiva
sulle seguenti materie: ... g) lavori pubblici, eccettuate le  grandi
opere  pubbliche  di  interesse  prevalentemente  nazionale;  ...»  -
conserverebbe  nondimeno,   anche   a   voler   tener   conto   della
sopravvenienza  rappresentata  dalla  riforma  del  Titolo  V   della
Costituzione, un suo ambito di  validita'  e  di  efficacia,  sebbene
obiettivamente  piu'  circoscritto  rispetto   all'ampia   latitudine
originaria, non confliggente con le  altre  attribuzioni  legislative
esclusive dello Stato (ossia nelle materie, per quanto  rileva  nella
presente controversia, della tutela  della  concorrenza,  dell'ordine
pubblico e della sicurezza, della  giurisdizione  e  della  giustizia
amministrativa,  dell'ordinamento  civile  e  penale  e  delle  norme
fondamentali di riforma economico-sociali). 
    Nemmeno convince la tesi, relativamente al rapporto tra le  fonti
di rango primario, dell'abrogazione implicita dell'art. 2 della  l.r.
per effetto e in conseguenza dell'entrata in vigore dell'art. 3 della
l. n. 136/2010. Difatti - anche a voler idealmente prescindere  dalla
considerazione  dell'insussistenza  (o,  quanto  meno,  della  dubbia
sussistenza)  a  monte  di   un   fenomeno   abrogativo   di   ordine
costituzionale, almeno non nei termini descritti dal  T.a.r.  per  la
Sicilia -, e' dirimente osservare che le due disposizioni, statale  e
regionale, anche alla stregua di quanto si precisera' infra,  non  si
pongono reciprocamente in rapporto di radicale antinomia  e,  quindi,
esistono   margini   per   una   loro   concorrente   e   compatibile
applicabilita'. 
    Ritiene,  insomma,  questo  Consiglio   che   il   T.a.r.   abbia
direttamente considerato  abrogate  delle  norme  le  quali,  invece,
prestano unicamente il fianco a sospetti di  incostituzionalita',  in
relazione ai quali, pertanto, non sarebbe  stato  possibile  omettere
ne' si possa oggi omettere (anche in ragione  dell'impossibilita'  di
un'interpretazione costituzionalmente  orientata  delle  stesse;  sul
punto, v. infra) di sollecitare sul punto una  specifica  valutazione
da parte della Corte costituzionale. 
    Sulla perdurante vigenza dell'art. 2 della l.r. n. 15/2008, anche
all'indomani dell'entrata in vigore dell'art. 3 della l. n. 136/2010,
si e' d'altronde gia'  pronunciato  questo  Consiglio  con  decisioni
dalle cui conclusioni, in  parte  qua,  il  Collegio  non  reputa  di
potersi discostare: con tali pronunciamenti, in  particolare,  questo
Consiglio ha ritenuto che l'art. 2 della l.r. n. 15/2008,  almeno  in
parte e prima facie (in disparte cioe' i dubbi  di  costituzionalita'
che, in seguito, si esporranno), non sia incompatibile con  l'odierno
contemporaneamente vigente art. 3 della l. n. 136/2010,  rispetto  al
quale la disposizione regionale contiene norme di carattere speciale.
A tal riguardo meritano di  essere  richiamate  sia  la  sentenza  n.
721/2012 del 27 luglio 2012 sia l'ordinanza (cautelare)  n.  786/2013
del 16 ottobre 2013, nelle quali si e' rispettivamente statuito che: 
      «...a) che l'art. 3 della legge statale 13 agosto 2010, n. 136,
invocato dall'appellante come implicitamente abrogativo dell'art.  2,
comma 1, l.r. n. 15/2008,  non  e'  affatto  incompatibile  con  tale
ultima disposizione;...» (cosi' la sentenza n. 721/2013); 
      «... Quanto alla perdurante  vigenza  della  norma  di  cui  al
citato art. 2, comma 1, pur dopo  l'entrata  in  vigore  dell'art.  3
della legge statale 13  agosto  2010,  n.  136,  Collegio  ritiene  -
sebbene  entrambe  le  norme  trovino  applicazione   nella   Regione
siciliana, quella statale per effetto del recepimento  regionale  del
codice dei contratti pubblici, che a sua volta richiama la  normativa
antimafia - che non basti l'ovvio rilievo di  una  certa  simiglianza
tra  le  due  discipline   a   sopportare   l'affermazione   che   la
sopravvenienza di quella posteriore abbia tacitamente abrogato quella
anteriore. Invero, la  normativa  regionale,  pur  se  anteriore,  ha
carattere  di  specialita'  rispetto  a  quella  statale  successiva;
sicche', in applicazione di basilari canoni  esegetici  disciplinanti
la successione delle  leggi  nel  tempo,  va  escluso  che  la  legge
generale successiva deroghi alla legge speciale anteriore. 
    E' in proposito dirimente il rilievo che la normativa  statale  -
in aggiunta ad altre differenze, pure evidenti: giacche'  l'una  pone
un  precetto  rivolto  agli  appaltatori  e   ai   concessionari   di
finanziamenti pubblici, l'altra alle stazioni appaltanti in  sede  di
approvazione del bando di gara; la prima prescrive  l'uso  di  uno  o
piu'  conti  correnti,  utilizzabili  peraltro  «anche  non  in   via
esclusiva», la seconda impone invece «di indicare un numero di  conto
corrente unico», dunque utilizzabile esclusivamente per l'appalto  di
cui trattasi - si applica, oltre che ai finanziamenti pubblici,  agli
appalti senza ulteriori specificazioni;  laddove,  invece,  la  norma
regionale riguarda unicamente «gli appalti di importo superiore a 100
migliaia di euro». 
    Risulta percio' evidente che, pur dopo il doppio  recepimento  di
cui si e' fatto cenno, l'art. 3 della  legge  n.  136  debba  trovare
applicazione,  anche  in  Sicilia  (ove  la  Regione  ha   competenza
legislativa primaria o esclusiva in materia di appalti  pubblici,  ai
sensi dell'art. 14, lettera g), del  proprio  Statuto  speciale),  in
tutti gli appalti di  importo  non  superiore  a  € 100.000;  laddove
invece, al di sopra di detta soglia, per il gia' ricordato  principio
di  specialita',  e'   giocoforza   affermare   che   debba   trovare
applicazione (solo) l'art. 2, comma 1, della citata legge regionale. 
    Si badi  che  cio'  non  implica,  altresi',  che  alla  medesima
conclusione si debba pervenire anche in ordine al  comma  2  di  tale
ultimo articolo; tuttavia di tale profilo - sebbene detto comma 2 non
abbia alcun rilievo  in  riferimento  alla  vicenda  in  esame  -  si
accennera' brevemente infra. 
    Quel che preme qui sottolineare e', piuttosto, che  l'abrogazione
tacita  -  concetto  tecnicamente  assai  piu'  preciso  di   quello,
sostanzialmente  sociologico  o  lato  sensu  politico,  della   c.d.
«incompatibilita' sostanziale»  -  postula  un'effettiva  e  assoluta
incompatibilita' tra due discipline, che non e' dato invece ravvisare
tra quelle di cui trattasi (art. 3 l. n. 136/2010 e art. 2, comma  1,
l.r. n. 15/2008). 
    Ne',  sempre  a  questo   proposito,   puo'   pretermettersi   di
considerare, da ultimo ma non per ultimo, che l'art. 2 della l.r.  n.
15/2008 non e' indicato tra le norme che  l'art.  32  della  l.r.  12
luglio 2011, n. 12, considera abrogate in conseguenza del recepimento
del codice dei contratti  pubblici  (operato  dalla  stessa  l.r.  n.
12/2011):  sicche',  anche  per  questo  profilo,  detto  art.  2  va
considerato vigente.» (cosi' l'ordinanza n. 786/2013). 
    Nemmeno puo' ritenersi che, nella fattispecie, abbia  operato  il
meccanismo di cui all'art. 10  della  l.  10  febbraio  1953,  n.  62
(Costituzione e funzionamento degli organi regionali: secondo cui  le
leggi della Repubblica che modificano i principi  fondamentali  quali
risultano da leggi che espressamente li stabiliscono per  le  singole
materie o quali si desumono delle leggi  vigenti  abrogano  le  norme
regionali che siano in contrasto con esse), dal momento che - anche a
voler prescindere dalla considerazione che  il  limite  dei  principi
fondamentali opera con riguardo alle materie  oggetto  di  competenza
regionale c.d. concorrente, laddove nella specie trattasi  invece  di
competenza legislativa regionale c.d. esclusiva,  o  primaria  -  per
quanto sopra argomentato richiamando quanto esposto nell'ordinanza n.
786/2013 di questo Consiglio, l'art. 3 della l. n. 136/2010 e  l'art.
2,  comma  1,  della  l.r.  n.  15/2008  non  poggiano  su   principi
fondamentali  contrastanti,  al  di  la'   del   dato   rappresentato
dall'incidenza delle due disposizioni su  differenti  segmenti  della
serie procedimentale  complessa,  provvedimentale  e  negoziale,  che
conduce alla stipula di contratti di appalti pubblici (incentrandosi,
rispettivamente,  l'invalidita'  regionale   sul   primo   atto   del
procedimento e quella statale sul contratto); anzi, le ragioni  della
sospettata incostituzionalita' dell'art.  2  della  l.r.  n.  15/2008
riposano in gran parte sull'argomento che sia il ridetto art.  2  sia
l'art. 3 della l.  n.  136/2010  si  presentano  sorretti  da  comuni
finalita' e che le due disposizioni, regionale  e  statale,  poggino,
almeno in parte,  sui  medesimi  principi,  entrambe  concorrendo  al
contrasto,  attraverso   l'imposizione   di   severe   regole   sulla
controllabilita' di  flussi  finanziari,  delle  infiltrazioni  della
criminalita'  (e,  specificatamente,  di  quella  organizzata),   nel
settori del public procurement: sennonche' legiferare in tale materia
e' una competenza esclusiva dello Stato e  non  anche  della  Regione
siciliana. 
    Nel medesimo senso (ossia della perdurante  vigenza  dell'art.  2
della l.r. n. 15/2008) si e' peraltro pronunciato  lo  stesso  T.a.r.
per la Sicilia, sede di Palermo, che, con due  recenti  ordinanze  n.
2054 e 2055, entrambe pubblicate (mediante deposito in segreteria) il
7  novembre  2013,  ha  disposto  altrettanti   rinvii   alla   Corte
costituzionale in relazione all'art. 2 della l.r. n. 15/2008 (su tali
provvedimenti, v. infra,passim, giacche' molti dei dubbi palesati dal
T.a.r. sono condivisi e fatti propri anche da questo Consiglio  nella
presente ordinanza). 
    14.  -  Rimanendo  sul   tema   dell'abrogazione   o,   comunque,
dell'inapplicabilita' alla fattispecie in  esame  dell'art.  2  della
l.r.  n.  15/2008,  nemmeno  paiono  risolutive   le   argomentazioni
difensive spiegate dall'ATI Cimolai. Piu' in dettaglio l'ATI Cimolai,
oltre ad aver dedotto alcuni profili di possibile incostituzionalita'
della  disposizione  regionale,  ha  altresi'   sostenuto,   in   via
logicamente preliminare, che: 
      a) l'art. 2 della l.r. n. 15/2008  non  si  applicherebbe  alla
fattispecie in esame, trattandosi di procedura afferente  a  un'opera
pubblica di grande rilievo  che,  come  tale,  investe  un  interesse
nazionale ed europeo; in questo senso sussisterebbe un contrasto  sia
con l'art. 14, primo comma, lett. g), dello Statuto  regionale  (che,
per l'appunto, non contempla una legislazione esclusiva siciliana nel
settore delle opere di interesse prevalentemente nazionale)  sia  con
la disciplina dell'Unione europea; 
      b) a decorrere dall'entrata in  vigore  della  l.r.  12  luglio
2011, n. 12 (con la quale e' stato recepito nell'ordinamento  isolano
il  Codice   dei   contratti   pubblici),   in   Sicilia   troverebbe
applicazione, alla materia dei pubblici appalti, solo  il  d.lgs.  n.
163/2006, come recepito nell'Isola, e non  anche,  dunque,  l'art.  2
della l.r. n. 15/2008; 
      c) l'art. 2 della l.r. n. 15/2008 non troverebbe  applicazione,
in quanto la disposizione si porrebbe in  contrasto  con  l'art.  46,
comma 1-bis, del d.lgs. n. 163/2006, laddove la disposizione  statale
introduce  il  principio  della  tassativita'   delle   clausole   di
esclusione. 
    Opina il Collegio che l'argomento,  incentrato  sulla  natura  di
interesse prevalentemente  nazionale  dell'opera  oggetto  del  bando
controverso, sia privo di pregio, atteso che il potenziale contrasto,
sotto questo aspetto, della disposizione legislativa in contestazione
con l'art. 14 dello Statuto d'autonomia legittimerebbe, al  piu',  un
dubbio di costituzionalita' (e d'altronde v., sul punto, infra) e non
anche una disapplicazione della norma regionale di rango primario; il
preteso contrasto dell'art. 2 della l.r. n. 15/2008  con  il  diritto
dell'Unione europea, poi,  non  e'  stato  dimostrato  e  nemmeno  e'
evidente, atteso che la disciplina europea non  preclude  affatto  la
possibilita'  che  i  Legislatori  regionali  possano  legiferare  in
materia  di  appalti  pubblici  (semmai  siffatta   possibilita'   va
verificata  alla  stregua   dei   limiti   costituzionali   interni),
integrando le vincolanti regole stabilite a  livello  sovranazionale,
ne'  assegna  una  competenza  esclusiva  in   materia   alla   fonte
rappresentata, in Italia, dal d.lgs. n. 163/2006. 
    Nemmeno convince il  secondo  argomento,  giacche'  l'intervenuto
recepimento  (peraltro  non  integrale)  del  Codice  dei   contratti
pubblici nell'ordinamento siciliano non impedisce affatto che possano
continuare ad applicarsi anche norme regionali  previgenti  e,  anzi,
questa  e'  esattamente  la   situazione   determinatasi   in   forza
dell'entrata in vigore della l.r. n. 12/2011 che, per  un  verso,  ha
fatto espressamente salve alcune di tali previsioni regionali e  che,
per altro verso, non ha espressamente abrogato  la  l.r.  n.  15/2008
(cosi' dando supporto alla tesi della non abrogazione di detta legge,
sia pure sulla base dell'argumentum a contrario); 
    Infine e' inconducente anche il motivo sub  c).  Ed  invero,  una
volta premesso che l'art. 2  della  l.r.  n.  15/2008  non  contempla
ipotesi di esclusione dei concorrenti, ma una causa di  nullita'  dei
bandi, e' comunque dirimente rilevare che  l'art.  46,  comma  1-bis,
succitato impone esclusivamente  la  regola  della  tipizzazione  per
legge (o per regolamento) della cause di esclusione dei  partecipanti
alla procedura di affidamento e non impedisce pertanto che una  legge
regionale possa disporre una  causa  di  invalidita'  del  bando  non
contemplata  dalla  disciplina  statale  (altra  questione,  che  non
interferisce con il profilo teste' esaminato e che  sara'  affrontata
infra, riguarda invece la possibilita' che la legge  regionale  possa
introdurre ipotesi di  vera  e  propria  nullita'  dei  provvedimenti
amministrativi). 
    15. - Dovendosi pertanto ritenere, alla stregua di  tutto  quanto
sopra osservato, che l'art. 2 della l.r. n. 15/2008, nei  suoi  primi
due commi, sia ancora vigente e  applicabile  nella  fattispecie,  il
Collegio   esclude   che   si   possa   ragionevolmente   ricostruire
un'interpretazione costituzionalmente  orientata  delle  disposizione
regionale;   cio',   ovviamente,    nei    limiti    consentiti    da
un'interpretazione adeguatrice che non travalichi, quand'anche spinta
fino agli estremi limiti delle sue  valenze  semantico-giuridiche,  i
vincoli  della  legittima  esegesi  consentita  al  giudicante  senza
trasmodare in una vietata nomopoiesi di matrice pretoria. 
    Le ragioni di tale impossibilita' sono rese palesi, ad avviso del
Collegio, sia dall'impraticabilita' di un percorso ermeneutico inteso
a depotenziare la previsione regionale nei termini  di  una  nullita'
soltanto parziale, «sanabile»  attraverso  l'operare  del  meccanismo
integrativo di cui al combinato disposto degli  artt.  1339  e  1419,
secondo comma, c.c. sia dalla  molteplicita'  e  dalla  gravita'  dei
profili  di  sospetta  incostituzionalita'  che  saranno  di  seguito
esposti. 
    16.  -  In  ordine  al  primo  aspetto,  ossia  quello  attinente
all'inapplicabilita'   del   meccanismo    conservativo    risultante
dall'applicazione del combinato disposto  degli  artt.  1339  e  1419
c.c., occorre prendere l'abbrivo dalla succitata ordinanza di  questo
Consiglio n. 786/2013, nella quale si e' osservato che:  «Passando...
al profilo  relativo  alla  possibilita'  di  configurare  come  solo
parziale, piuttosto  che  totale,  la  nullita'  del  bando  di  gara
difforme  dalla  previsione  normativa  regionale  in  esame  -   con
conseguente ipotizzata applicabilita' del meccanismo  dell'inserzione
automatica di clausole, di cui  all'art.  1339  del  cod.  civ.  (ove
applicabile anche all'atto amministrativo recante la lex specialis di
una  gara  d'appalto)  -  il  Collegio  ritiene  che   una   siffatta
configurazione esegetica travalicherebbe i limiti  di  compatibilita'
con il tenore letterale della legge regionale, che un interprete  che
non voglia farsi legislatore e' tenuto a osservare. 
    La norma regionale,  infatti,  non  reca  una  mera  sanzione  di
generica nullita',  e  neppure  di  «nullita'  assoluta»  (come,  per
esempio, si legge invece nel comma 8 del  cit.  art.  3  della  legge
statale n. 136/2010); bensi' una preclara sanzione di  «nullita'  del
bando». 
    Non si puo' ragionevolmente dubitare che il legislatore regionale
abbia inteso sanzionare, appunto, con la nullita' del bando  (vale  a
dire di tutto il bando, ossia  del  bando  nella  sua  interezza)  la
violazione, da parte della stazione appaltante,  del  precetto  posto
dall'art. 2, comma 1, l.r. n. 15/08.... Rispetto a  questa  tematica,
resta  dunque  sullo  sfondo  la  grande  difficolta'  di  ipotizzare
integrazioni legali del bando di gara con precetti la cui  violazione
dovrebbe dar luogo all'esclusione del concorrente che  tali  precetti
abbia violato (o alla risoluzione del  contratto,  se  la  violazione
avviene nella fase di esecuzione di esso): giacche', essendosi costui
attenuto  a  tutto  quanto  previsto   dal   bando,   ogni   sanzione
applicatagli in  esito  a  un  processo  interpretativo  metatestuale
potrebbe davvero  sembrare  una  insopportabile  violazione  del  suo
incolpevole affidamento. 
    Invero, su di essa fa premio, come si e' gia'  detto,  l'esigenza
di non consentire all'interprete di forzare il dato testuale,  giusto
o sbagliato che  lo  ritenga,  al  di  la'  di  quello  che  potrebbe
definirsi il suo intrinseco limite  di  elasticita'  (cosi'  mutuando
un'espressione usata in dottrina con riguardo alla  riconduzione  dei
contratti ai relativi tipi negoziali prefigurati dal codice  civile);
e infatti, nella specie, tale  limite  non  sembra  consentire,  data
l'assoluta chiarezza del dato normativo, di ritenere valido un  bando
anche  ove  non  rechi  la  clausola  voluta  dalla  legge,   neppure
predicando che esso sia automaticamente integrato  da  una  clausola,
ivi non scritta, di contenuto uguale  a  quello  che  avrebbe  invece
dovuto esservi inserito.». 
    Va poi osservato in via  generale  -  in  disparte  i  differenti
profili di perplessita' (che  saranno  esaminati  infra)  -  che  una
previsione di nullita' «a monte»,  ossia  del  bando,  e'  pienamente
compatibile,  sul  piano  logico-giuridico  e  dal  punto  di   vista
funzionale,  con  una  differente  norma   che   commini   un'analoga
invalidita'  del  contratto  stipulato  «a  valle»   della   medesima
procedura. Quanto poi ai argini di applicabilita' del  meccanismo  di
integrazione automatica delle nullita' parziali, di  cui  agli  artt.
1339 e 1419 c.c. (sempre che detto congegno normativo possa reputarsi
valevole de plano anche per i provvedimenti amministrativi),  occorre
ulteriormente osservare  che,  almeno  in  relazione  all'invalidita'
specificatamente sanzionata dal comma 1 dell'art.  2  della  l.r.  n.
15/2008  (non  forse  per  il  comma  2,   nonostante   la   sospetta
incostituzionalita', anche di questo comma, sotto altri profili),  il
suddetto  meccanismo  di  sostituzione  automatica  di  clausole   si
presenta manifestamente inapplicabile per  la  semplice  e  dirimente
ragione che non esiste alcuna  clausola,  contemplata  da  una  norma
imperativa, che possa essere  applicata  in  sostituzione  di  quella
ipoteticamente mancante. Difatti, non potrebbe  trovare  applicazione
la norma statale di cui all'art. 3 della  l.  n.  136/2010,  giacche'
essa si riferisce al solo contratto e contempla la  possibilita'  che
il conto corrente utilizzato non sia unico. 
    D'altronde, nemmeno potrebbe ritenersi consentito all'interprete,
nel silenzio dell'atto indittivo, di andare  al  di  la'  della  mera
individuazione  della  norma  imperativa  recante  la   clausola   da
sostituire a quella  contra  legem  oppure  omessa;  sicuramente  poi
l'esegesi non potrebbe autonomamente essere spinta fino al  punto  di
«costruire» ex post una regola, ipoteticamente vincolante  per  tutte
le imprese  in  gara  (sebbene  a  queste  sconosciuta  all'epoca  di
presentazione delle  rispettive  domande  di  partecipazione),  circa
l'effettuazione, in caso di aggiudicazione del contratto esitato,  di
tutti i pagamenti su un unico conto  corrente  (che,  del  resto,  le
imprese dovrebbero altresi' indicare). 
    17. - Sui motivi che inducono questo Consiglio a  dubitare  della
legittimita' costituzionale dell'art. 2, commi 1 e 2, della  l.r.  n.
15/2008 valgano le seguenti considerazioni. 
    A tal riguardo si precisa che alcune delle perplessita' di ordine
costituzionale che saranno sviluppate sono comuni a  quelle  espresse
nelle succitate ordinanze n. 2054 e 2055 del 2013, del T.a.r. per  la
Sicilia, sede di Palermo  (nelle  quali  peraltro  sono  stati  anche
diffusamente ricostruiti i termini  del  dibattito  giurisprudenziale
sull'art. 2 della l.r. n. 15/2008, ricostruzione che, in questa sede,
si ritiene di poter  omettere),  altri  dubbi  vengono,  invece,  qui
sollevati per la  prima  volta  (almeno  a  quanto  consta  a  questo
Consiglio). 
    Per ragioni espositive si illustreranno dapprima (motivi da  I  a
IX) le perplessita' relative ad entrambi i commi (ossia i commi  1  e
2; mentre il comma 3  non  dovrebbe  poter  logicamente  sopravvivere
all'eventuale, futura, dichiarazione di incostituzionalita' dei primi
due) dell'art. 2 della l.r. n.  15/2008  e  poi  quelle  relative  ai
singoli commi (rispettivamente i motivi da X a XI per il comma 1 e da
XII a XIV per il comma 2). 
    Non  manifesta  infondatezza  della  questione  di   legittimita'
costituzionale dell'art. 2, commi 1 e 2, della l.r.  n.  15/2008,  in
relazione all'art. 14, primo comma, lett.  g),  dello  Statuto  della
Regione siciliana: come si e' sopra riferito, l'art. 14, primo comma,
lett. g), dello Statuto della Regione siciliana detta  una  norma  di
rango costituzionale che contempla si' una potesta'  esclusiva  della
Regione nella materia degli appalti  pubblici,  ma  limitatamente  ai
«lavori». 
    Tale aspetto di possibile incostituzionalita' della  disposizione
e', nella fattispecie, rilevante, giacche' - come sopra  osservato  -
l'appalto controverso  attiene  a  servizi  (v.,  in  tal  senso,  la
sentenza n. 1/2014). Il Collegio e' poi dell'opinione che,  in  parte
qua, il dettato dello Statuto richieda  un'interpretazione  rigorosa,
ossia nel senso che la competenza legislativa esclusiva della Regione
siciliana non possa intendersi estesa anche agli appalti di servizi e
di forniture. Cio' non solo perche' lo Statuto, nella  parte  in  cui
deroga a compresenti competenze legislative statali (ad esempio,  per
quanto riguarda gli appalti, al titolo che attribuisce allo Stato una
competenza legislativa in materia di tutela della concorrenza ex art.
117, secondo comma, lett. e), Cost.), deve essere interpretato in via
restrittiva al pari di tutte le norme di deroga, ma anche perche' - a
seguito dell'entrata in vigore di  vincolanti  principi  del  diritto
eurounitario in  materia  di  procedura  di  affidamento  di  appalti
pubblici - il valore precettivo dell'art. 14, primo comma, lett.  g),
dello Statuto si  e'  indirettamente  modificato:  infatti,  uno  dei
capisaldi della disciplina sovranazionale (che sicuramente condiziona
l'esegesi del corrispondente dato  normativo  interno),  sviluppatasi
nelle varie direttive che nel corso del tempo si sono  succedute,  da
sempre e' ravvisabile  nella  nitida  distinzione  esistente  tra  le
procedure  di  affidamento  degli   appalti   pubblici   in   ragione
dell'oggetto dei rispettivi contratti messi a gara - lavori,  servizi
e forniture -, di guisa che, nella materia, il  termine  «lavori»  ha
acquisito  una  specifica  connotazione  tecnica  e   copre   un'area
semantico-giuridica esattamente definita. 
    Non puo' dunque ritenersi, anche a voler eventualmente ipotizzare
un certo  tasso  di  imprecisione  dell'originaria  scelta  lessicale
compiuta dal Legislatore statutario,  che  detta  area  abbia  potuto
conservare una latitudine idonea a comprendere,  oltre  a  quelli  di
lavori, anche gli appalti di servizi e di forniture. 
    Orbene, non vi e' dubbio che  il  tenore  letterale  dell'art.  2
della l.r. n. 15/2008 si riferisca genericamente e indistintamente  a
tutti  gli  appalti,  senza  distinguere  in  base  all'oggetto   dei
medesimi, cosi' precludendo all'interprete ogni spazio per sviluppare
un'esegesi  costituzionalmente  orientata   delle   norme   in   esso
contenute, giacche' l'ipotetica esclusione degli appalti di servizi e
di forniture dall'alveo applicativo della disposizione non avrebbe il
significato di una mera interpretazione costituzionalmente orientata,
ma si tradurrebbe in una vera e propria nomopoiesi  giurisprudenziale
volta a introdurre delle eccezioni non previste. 
    II) Non manifesta infondatezza della  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 2, commi 1 e 2, della l.r.  n.  15/2008,  in
relazione all'art. 14, primo comma, lett.  g),  dello  Statuto  della
Regione siciliana,  sotto  altro  profilo:  le  considerazioni  sopra
spiegate valgono anche sotto un differente profilo  e  illuminano  un
distinto aspetto di possibile incostituzionalita' della  disposizione
regionale. Si e' ricordato, infatti, che  la  legislazione  esclusiva
regionale in materia di lavori pubblici non investe le «grandi  opere
pubbliche di interesse prevalentemente nazionale;  ...».  Ebbene,  se
riguardata da siffatto versante, anche tale precisazione e' rilevante
nella fattispecie, non potendosi dubitare, sia per le caratteristiche
dell'opera, per l'importanza commerciale del Porto di Palermo  e  per
l'entita' economica dell'appalto, che la gara controversa abbia avuto
ad oggetto un'opera pubblica di prevalente  interesse  nazionale.  Va
del pari rilevato che l'art. 2 della l.r. n.  15/2008  non  distingue
affatto tra  opera  e  opera  ne'  reca  alcuna  specifica  eccezione
all'applicabilita' delle norme con  esso  introdotte  alle  opere  di
interesse prevalentemente nazionale. 
    III) Non manifesta infondatezza della questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 2, commi 1 e 2, della l.r.  n.  15/2008,  in
minime all'art. 3, secondo comma, Cost.: le disposizioni  di  cui  ai
primi due commi dell'art. 2 della l.r. n. 15/2008 contengono norme la
cui applicazione conduce a conseguenze platealmente irrazionali sotto
il profilo giuridico  e  tale  situazione  induce  a  dubitare  della
ragionevolezza  intrinseca  delle  previsioni.   Si   consideri,   in
particolare, che la sanzione di nullita'  dei  bandi,  per  le  cause
indicate dalla legge  regionale,  puo'  sortire  l'effetto  (come  si
potrebbe verificare nel caso di specie) di porre nel nulla  procedure
di gara che, a parte  le  carenze  prescrittine  dei  relativi  bandi
rispetto a quanto stabilito dal predetto art. 2, si siano  svolte  in
modo del tutto regolare e in piena legittimita'. 
    Occorre  poi  considerare   che   la   nullita'   da'   luogo   a
un'invalidita' irrimediabile e definitiva, nel senso cioe' che si  e'
al cospetto di un vizio genetico del provvedimento  non  suscettibile
di convalida e che impedisce qualsiasi forma di autotutela  orientata
alla «sanatoria» (giacche' un intervento del  genere  sarebbe  contra
legem). 
    Il quadro di complessiva irrazionalita' degli effetti  scaturenti
dalle previsioni dell'art. 2 e' ancor piu' aggravato, ove  possibile,
dalla circostanza che la nullita' nemmeno potrebbe essere impedita da
comportamenti  iperconformi  di  imprese  concorrenti  le  quali,  in
ipotesi, una  volta  appreso  del  contenuto  carente  dei  bandi  di
procedure  alle  quali  abbiano  preso  parte,  si  accordassero  per
indicare nelle loro offerte quel conto unico prescritto dalla l.r. n.
15/2008; l'accertata invalidita'  del  bando  travolge  poi  l'intera
gara, con il conseguente dispendio delle relative  risorse  pubbliche
utilizzate per indire e svolgere la procedura  (senza  considerare  i
connessi rischi di perdita di fondi pubblici  o  comunitari):  a  ben
vedere, infatti, l'unico modo per evitare il prodursi della  nullita'
consisterebbe nell'annullamento in autotutela dell'intero bando,  una
volta pubblicato, e nella rinnovata emanazione dello stesso, emendato
delle  ridette  lacune  prescrittive  (ma   il   successo   di   tali
«salvataggi» delle procedure gia' indette dipenderebbe, all'evidenza,
dalla differente  capacita'  delle  singole  stazioni  appaltanti  di
percepire con tempestivita'  gli  eventuali  vizi  dei  bandi).  Tale
soluzione peraltro,  oltre  a  non  far  venir  meno  le  conseguenze
«irrazionali» sopra descritte, esporrebbe comunque  l'amministrazione
a responsabilita' (di natura  precontrattuale  o  extracontrattuale),
tanto  piu'  gravi  all'accrescere  dello  iato  temporale   tra   la
pubblicazione del bando e il suo  successivo  annullamento:  piu'  in
particolare, una responsabilita' dell'amministrazione  sarebbe  certa
(atteso che la violazione dell'art. 2 sarebbe unicamente  ascrivibile
a  colpa  della  stazione  appaltante)  ogniqualvolta  l'annullamento
d'ufficio del bando intervenisse dopo la scadenza dei termini per  la
presentazione  delle  offerte  (e,  una  volta  superato  tale  snodo
procedimentale,  l'entita'  delle  conseguenze  risarcibili  potrebbe
soltanto incrementarsi). Una responsabilita'  del  genere,  tuttavia,
potrebbe insorgere, in certi casi e per  alcuni  tipi  di  procedure,
anche nelle ipotesi in cui la nullita'  degli  atti  indittivi  fosse
individuata dall'amministrazione subito dopo la  pubblicazione  degli
stessi.  In  ogni  caso,  comunque,  pure  l'opzione  del  tempestivo
annullamento d'ufficio  si  risolverebbe  sempre  in  uno  spreco  di
risorse pubbliche, in relazione ai costi, diretti  e  indiretti,  del
ritiro di un bando gia' pubblicato. 
    I superiori rilievi portano a ritenere  che  i  primi  due  commi
dell'art. 2 della l.r. n. 15/2008 siano disposizioni manifestamente e
intrinsecamente irragionevoli  e  che  tale  irragionevolezza  emerga
dalla stessa interpretazione applicativa delle due previsioni,  senza
necessita' di ricorrere ad elementi  estranei  al  dettato  normativo
(v., tra  le  altre,  Corte  cost.  nn.  53/1958;  81/1963;  41/1994;
166/1994; 169/1994; 356/1995 e 374/1995).  La  previsione  delle  due
nullita' speciali, in ragione  delle  conseguenze  radicali  da  esse
derivanti, non  assicurano  il  raggiungimento  delle  finalita'  che
apparentemente il Legislatore regionale si era prefigurato  e,  ancor
piu', gli automatismi invalidanti e non sanabili,  introdotti  con  i
primi due commi della l.r. n. 15/2008,  si  palesano  sproporzionati,
oltre che lesivi di un legittimo affidamento, laddove  finiscono  per
traslare sull'impresa aggiudicataria incolpevole  gli  effetti  della
violazione  della  disposizione  regionale  da  parte  della   stessa
stazione appaltante. 
    IV) Non manifesta infondatezza della  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 2, commi 1 e 2, della l.r.  n.  15/2008,  in
relazione all'art. 3, secondo  comma,  Cost.,  sotto  altro  profilo:
sulla scorta delle considerazioni svolte in relazione  al  precedente
profilo, emergono ulteriori  aspetti  di  sospetta  costituzionalita'
delle disposizioni regionali in esame. 
    L'irragionevolezza sopra descritta e' dovuta infatti al  plateale
scarto esistente tra le  rationes  normative  sottese  ai  due  commi
dell'art. 2 della l.r. n. 15/2008 (rispettivamente, la tracciabilita'
dei flussi finanziari e il controllo sulle  qualita'  soggettive  dei
partecipanti alla gara): si e'  cioe'  in  presenza  di  un  plateale
scostamento, per illogico eccesso, tra gli scopi avuti  di  mira  dal
Legislatore regionale, sopra richiamati,  e  lo  strumento  giuridico
utilizzato (ossia l'introduzione di una nullita' provvedimentale), la
cui  concreta  applicazione  da'  luogo  ad  effetti   dirompenti   e
manifestamente esorbitanti rispetto agli obiettivi  perseguiti.  Tale
illogicita' affiora, come rilevato, dalla stessa  considerazione  del
dispositivo delle due disposizioni regionali, ma si  rivela  in  modo
ancor piu' eclatante a seguito della comparazione del  dato  positivo
regionale  con  quello  dettato,  per  le  medesime  finalita',   dal
Legislatore statale. 
    Invero, onde assicurare la tracciabilita' dei  flussi  finanziari
correlati alle procedure  di  affidamento  di  appalti  pubblici,  il
Legislatore regionale ben avrebbe potuto ricorrere  a  un  meccanismo
invalidativo analogo a quello disciplinato dal succitato art. 3 della
l. n. 136/2010, che colloca la sanzione della nullita' esclusivamente
sul versante contrattuale, facendo  salva  la  presupposta  procedura
amministrativa. In tal senso il Collegio ritiene, difatti,  di  poter
condividere le considerazioni svolte sul  punto  dal  T.a.r.  per  la
Sicilia, nella sentenza impugnata, secondo cui: «Con l'art.  3  della
l. n. 136 del 2010 ... (a)nzicche' disporre l'obbligo di inserire  la
c.d. «clausola di salvaguardia della  tracciabilita'  finanziaria»  -
cosi' sinteticamente definita - nei bandi e sotto  pena  di  nullita'
degli stessi (soluzione, questa, prescelta dalla legge regionale), la
normativa  statale  ha  imposto  che  la  predetta  «clausola»  venga
inserita, in un momento successivo,  nel  contratto  da  stipulare  a
seguito  del  provvedimento   di   aggiudicazione.   E   cio'   sotto
comminatoria, per il caso di violazione  dell'obbligo  in  questione,
della nullita' del contratto. 
    Dal punto di vista della tecnica legislativa, appare  ictu  oculi
evidente come la sopradescritta disciplina introdotta dal Legislatore
statale sia migliore - in quanto ben  piu'  conforme  ai  criteri  di
efficacia, efficienza, economicita' e proporzionalita' nei  quali  si
concreta il c.d. «buon andamento dell'amministrazione» -  rispetto  a
quella posta dal Legislatore regionale; e cio' in quanto la normativa
statale evita che in conseguenza ed a cagione dell'omesso inserimento
della piu' volte menzionata «clausola» nei bandi, gare d'appalto gia'
utilmente espletate possano (rectius: debbano)  essere  annullate  ad
aggiudicazione ormai avvenuta, con evidente  ed  illogico  spreco  di
tempo, attivita' amministrativa e pubbliche risorse. 
    In altri termini, cio' di cui il  Legislatore  regionale  non  ha
tenuto   conto   -   denotando   una   foga   censoria    inutilmente
sopradimensionata rispetto all'obiettivo da perseguire - e': 
      che la c.d. «clausola di tracciabilita' dei flussi  finanziari»
puo' essere efficacemente utilizzata e valorizzata,  quale  strumento
per il conseguimento dell'obiettivo di «prevenzione  anticrimine»  al
quale e' preordinata, anche in un momento successivo a  quello  della
pubblicazione del bando (e finanche di celebrazione della gara); cio'
che puo' utilmente avvenire inserendola, al  momento  della  stipula,
nei contratti esecutivi dei provvedimenti di aggiudicazione; 
      che, pertanto, non ha senso annullare  inopinatamente  l'intera
gara quando nulla impedisce di «conservare» utilmente gli effetti  di
tutta l'attivita' procedimentale - nella specie: di quella volta alla
scelta del contraente  fino  al  provvedimento  di  aggiudicazione  -
legittimamente  condotta  (e  percio'  stesso  foriera  di  legittime
aspettative in capo all'aggiudicatario).». 
    Con riferimento, invece, al profilo del controllo delle  qualita'
soggettive  dei  partecipanti  alle  procedure,   il   parametro   di
riferimento, di rango primario, e' costituito dall'art. 38, comma  1,
lett. b), c), del d.lgs. n. 163/2006 (recepito in Sicilia con la l.r.
12/2011). Difatti, molto piu' ragionevolmente  e  piu'  efficacemente
dell'art. 2, comma 2, della l.r. n. 15/2008, che prevede la  nullita'
dei bandi in caso  di  mancato  inserimento  di  una  clausola  sulla
risoluzione   del   contratto   nell'ipotesi   in   cui   il   legale
rappresentante o uno dei dirigenti dell'impresa aggiudicataria  siano
stati  rinviati  a  giudizio  per  favoreggiamento   nell'ambito   di
procedimenti relativi a reati di criminalita' organizzata, l'art.  38
impone alle amministrazioni appaltanti  di  effettuare  un  controllo
individualizzato, in sede di ammissione  delle  imprese  concorrenti,
sui requisiti generali  dei  partecipanti  (e,  in  particolare,  con
riferimento   alle   eventuali   pendenze   di   procedimenti   volti
all'applicazione  di  misure  di   prevenzione   o   alla   eventuale
sussistenza di precedenti penali), destinato a concludersi, non  gia'
con la radicale nullita' della procedura  (per  l'omessa  indicazione
nel bando di una causa  di  risoluzione  del  contratto  in  caso  di
aggiudicazione), ma, al piu', con l'esclusione della singola impresa.
Diversamente il citato  art.  2,  comma  2,  della  l.r.  n.  15/2008
individua nel rinvio a giudizio non un requisito di partecipazione  -
e, quindi, una correlata ed eventuale causa di esclusione dalla  gara
- ma una causa di radicale nullita' del bando sul  presupposto  della
mancanza, in esso, della clausola risolutiva  prevista  dall'art.  2,
comma 2, della l.r. n. 15/2008. 
    V) Non manifesta infondatezza  della  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 2, commi 1 e 2, della l.r.  n.  15/2008,  in
relazione agli artt. 3, secondo comma,  e  97,  primo  comma,  Cost.:
ancora nella scia delle superiori considerazioni, il Collegio ritiene
che l'art. 2, commi 1 e 2, della l.r. n.  15/2008,  a  cagione  della
sopra evidenziata irragionevolezza (intrinseca e in via comparativa),
sia altresi'  in  contrasto  con  il  fondamentale  canone  del  buon
andamento amministrativo. Di tale canone generale, scolpito dall'art.
97 Cost., sono diretti corollari sia il principio di proporzionalita'
sia quello di autotutela amministrativa, nella fattispecie  sotto  il
profilo della tendenziale emendabilita', in ossequio al principio  di
conservazione  degli  effetti   dell'azione   amministrativa,   delle
eventuali difformita'  degli  atti  adottati  rispetto  ai  superiori
paradigmi normativi. 
    Sul primo aspetto, ossia in ordine alla violazione del  principio
di proporzionalita' - inteso quale scostamento, per eccesso,  tra  il
mezzo utilizzato e il fine avuto di  mira  (cd.  «regola  del  minimo
mezzo») - valgano  le  precedenti  considerazioni  sulle  conseguenze
nefaste, per l'amministrazioni  e  per  le  imprese  concorrenti  (e,
specialmente,   per   quelle   risultate   aggiudicatarie,    gravate
incolpevolmente degli errori  delle  amministrazioni  indicenti),  di
previsioni che conducano all'inevitabile e radicale invalidazione  di
un intero procedimento e, quindi, a un effetto  esorbitante  rispetto
al vizio indicato. 
    Sul  secondo  aspetto  puo'  osservarsi  che  la  preclusione  di
qualunque spazio per un  intervento  di  «sanatoria»  della  stazione
appaltante  contrasta  con  la   stessa   giustificazione   giuridica
dell'autotutela  amministrativa,  costituente  espressione   di   una
potesta' generale (v.  l'art.  21-octies  della  l.  n.  241/1990)  e
immanente a ogni forma di esercizio di un pubblico  potere,  che  ha,
per l'appunto, lo scopo di consentire, tra  l'altro,  un  costante  e
dinamico  adeguamento  dell'azione  amministrativa  al  principio  di
legalita' e all'interesse pubblico. 
    In ordine ai disastrosi esiti applicativi dell'art. 2, commi 1  e
2, della l.r. n. 15/2008 sul piano della correntezza  amministrativa,
anche sotto il profilo dei costi sopportati dalle stazioni appaltanti
e dalle imprese, si rinvia a quanto sopra gia' osservato. 
    VI) Non manifesta infondatezza della  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 2, commi 1 e 2, della l.r.  n.  15/2008,  in
relazione agli art. 3, secondo comma,  e  117,  primo  comma,  Cost.:
posto che  il  principio  di  proporzionalita'  ha  pure  una  nitido
riflesso sovranazionale, trattandosi  di  un  principio  del  diritto
dell'Unione europea (v. il Protocollo sui principi di  sussidiarieta'
e  di  proporzionalita',  allegato  al  Tratt.  CE  dal  Trattato  di
Amsterdam), spesso applicato  dalla  Corte  di  Giustizia  nelle  sue
decisioni (v., tra le molte, la sentenza  del  9  novembre  1995,  in
causa C-426/93), i medesimi rilievi teste' svolti giustificano  anche
un sospetto di incostituzionalita' delle disposizioni  regionali  per
contrato con il primo comma dell'art. 117 Cost. che vincola tutti  il
Legislatori  della  Repubblica  italiana  al  rispetto  dei   vincoli
dell'ordinamento comunitario. 
    VII) Non manifesta infondatezza della questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 2, commi 1 e 2, della l.r.  n.  15/2008,  in
relazione agli art. 3, 24 e 117,  secondo  comma,  lett.  l),  Cost.:
l'art. 2 della l.r. n. 25/2008 si pone  apparentemente  in  contrasto
con l'art. 117, secondo comma, lett.  l),  Cost.,  che  riserva  alla
legislazione esclusiva dello Stato le materie della  giurisdizione  e
della giustizia amministrativa. 
    Invero le disposizioni regionali stabiliscono  espressamente  che
l'eventuale violazione dei precetti da esse  rispettivamente  dettate
dia luogo ad  altrettante  nullita'  provvedimentali  (non  potendosi
dubitare che il bando, quale  atto  indittivo  di  una  procedura  di
affidamento   di   appalti    pubblici,    sia    un    provvedimento
amministrativo). 
    In  altri  termini,  le  violazioni  in   discorso,   in   deroga
all'ordinario  regime  di  illegittimita'/annullabilita'  degli  atti
amministrativi, non determinano invalidita' suscettibili di condurre,
qualora  fatte  valere  in  giudizio,  all'annullamento   dei   bandi
ipoteticamente  viziati,  ma  comportano,  sul   piano   sostanziale,
l'applicazione  delle  regole  fissate  in  via  generale   dall'art.
21-septies della l. n.  241/1990  e,  sul  versante  processuale,  di
quelle di cui all'art. 31, comma  4,  c.p.a.  (d.lgs.  n.  104/2010).
Quest'ultima circostanza, per i fini  che  qui  interessano,  non  e'
priva di rilievo. Difatti, il Codice del processo amministrativo  ha,
come  noto,  differenziato  la  disciplina  processuale   dell'azione
speciale  volta  a  far  valere   la   nullita'   dei   provvedimenti
amministrativi, contenuta, per l'appunto, prevalentemente  -  sebbene
non esclusivamente (v. anche l'art. 114 c.p.a.) - nel  suddetto  art.
31 c.p.a., da quella dell'azione generale di annullamento degli  atti
amministrativi, di cui all'art. 29 c.p.a.  Le  principali  differenze
tra le due azioni sono riconducibili: 
      a) alla natura  di  accertamento  dell'azione  di  nullita',  a
differenza della natura costitutiva di quella di annullamento (di qui
la  conseguente  inapplicabilita',  per  impossibilita'  strutturale,
all'azione  di  nullita'  del  meccanismo  di  «conversione»  di  cui
all'art. 34, comma 3, c.p.a.); 
      b) alla previsione di distinti termini perentori  di  decadenza
per la proposizione della  relativa  azione  (di  180  giorni  quello
dell'azione di nullita'); 
      c) alla opponibilita'  e  alla  rilevabilita'  d'ufficio  della
relativa eccezione; 
      d) all'inapplicabilita' della  regola  speciale  (e  di  natura
processuale) di sanatoria dell'annullabilita' prevista dal  comma  2,
secondo periodo, dell'art. 21-octies della l. n. 241/1990. 
    Da quanto sopra considerato discende  che  l'opzione  legislativa
tra la previsione della sanzione di nullita' o di  annullabilita',  a
fronte di  un  vizio  di  un  provvedimento  amministrativo,  non  e'
neutrale ne' scevra di conseguenze sul versante  processuale,  atteso
che tale scelta - in ragione della richiamata  diversita'  di  regime
tra le due azioni contemplate dal d.lgs, n. 104/2010 -  si  riverbera
sulle concrete possibilita' di difesa della parte interessata  a  far
valere la specifica invalidita'  amministrativa  (incidentalmente  si
osserva che il  regime  processuale  delle  nullita'  e'  assai  piu'
favorevole, sotto il profilo della tutela degli  interessi  legittimi
della parte ricorrente, di quello dell'annullabilita';  specularmente
il regime processuale della nullita' e'  assai  piu'  sfavorevole  di
quello dell'annullabilita' ove riguardato dal punto  di  vista  delle
possibilita' di  difesa  delle  amministrazioni  resistenti  e  degli
eventuali controinteressati). 
    Accostandosi alla questione da una differente  prospettiva,  puo'
anche affermarsi che il Legislatore -  comminando  una  nullita',  in
luogo  di  un'annullabilita'  -  determina  anche  il   rimedio   che
l'interessato alla deduzione del vizio potra' azionare per tutelare i
propri interessi  legittimi  e,  parallelamente,  anche  la  facolta'
difensive delle amministrazioni resistenti e  dei  controinteressati.
Tale  conseguenza  induce  il  Collegio  a  dubitare   della   stessa
possibilita', per i Legislatori regionali, di introdurre sanzioni  di
nullita' degli atti amministrativi non contemplate dalla legislazione
statale. Ed invero, ragionando  a  contrario  (ossia  ipotizzando  la
sussistenza di  una  possibilita'  del  genere),  dovrebbe  ritenersi
legittimo anche il  caso  limite  di  una  previsione  regionale  che
riproduca  il  precetto  di  una  norma  statale  e  che,   tuttavia,
sanzionando la relativa violazione con una nullita'  invece  che  con
un'annullabilita',    finisca    per    modificare,     limitatamente
all'efficacia territoriale della propria  circoscrizione,  un  regime
processuale (quello del giudizio  amministrativo)  che,  per  contro,
deve essere unico e uniforme in tutto il territorio  nazionale.  Tale
unitarieta', d'altronde, non e' solo una  conseguenza  imposta  dalla
esclusiva competenza legislativa statale in materia di  giurisdizione
ordinamento processuale  e  giustizia  amministrativa,  ma  e'  anche
coessenziale alla necessita' di un'omogenea disciplina  in  tutta  la
Repubblica, per evidenti esigenze di parita'  di  trattamento,  delle
garanzie e delle modalita' di esercizio del  diritto  inviolabile  di
difesa. 
    Al lume delle precedenti  considerazioni  sembra  dunque  doversi
affermare  che,  attraverso  l'introduzione  delle  nullita'  di  cui
all'art. 2 della l.r. n. 15/2008, il Legislatore regionale  siciliano
abbia invaso le competenze che l'art. 117, secondo comma,  lett.  l),
Cost. riserva in via esclusiva allo Stato. 
    VIII) Non manifesta infondatezza della questione di  legittimita'
costituzionale dell'art. 2, commi 1 e 2, della l.r.  n.  15/2008,  in
relazione all'art. 117, secondo comma, lett. l), Cost.: i  primi  due
commi dell'art. 2 della l.r. n. 15/2008 sembrano collidere con l'art.
117, secondo comma, lett. l) anche sotto  un  differente  profilo  e,
segnatamente, in relazione alla lesione della  riserva  all'esclusiva
potesta'  legislativa  dello  Stato  della  materia  dell'ordinamento
civile. 
    Difatti l'omesso inserimento,  nei  bandi  per  l'affidamento  di
appalti pubblici (di importo superiore a 100.000 euro, nel solo  caso
della previsione di cui al  comma  1  dell'art.  2),  delle  clausole
rispettivamente indicate nei ridetti commi, non soltanto da' luogo  a
nullita' degli stessi bandi, ma - qualora le procedure si siano  gia'
concluse  con  l'aggiudicazione  e  con  la  successiva  stipula  dei
contratti esitati - la violazione  dell'art.  2  determina  anche  la
risoluzione dei contratti medesimi. Piu' in particolare, il  comma  2
della disposizione stabilisce che,  nell'ipotesi  in  cui  il  legale
rappresentante o uno dei dirigenti dell'impresa aggiudicataria  siano
stati  rinviati  a  giudizio  per  favoreggiamento   nell'ambito   di
procedimenti  relativi  a  reati  di  criminalita'  organizzata,   il
contratto di appalto eventualmente gia' stipulato si risolve ex lege;
nel comma 1  il  terzo  periodo  prevede,  invece,  che  «il  mancato
rispetto  dell'obbligo  di  cui  al  presente   comma   comporta   la
risoluzione  per  inadempimento  contrattuale»:.  La  risoluzione  in
questo secondo caso consegue cioe' all'inadempimento, da parte  degli
aggiudicatari, dell'obbligo di indicare un numero di  conto  corrente
unico sul quale far confluire tutte  le  somme  relative  all'appalto
(nonche' quello di effettuare  esclusivamente  a  mezzo  di  bonifico
bancario, bonifico postale o assegno  circolare  non  trasferibile  i
pagamenti delle retribuzioni del personale). 
    All'evidenza,  seppure  per  il  tramite  della  fissazione   del
contenuto dei bandi di gara (nei  quali  devono  essere  inserite  le
clausole sopra descritte), e' evidente come l'art. 2  della  l.r.  n.
15/2008  abbia  introdotto,   soltanto   nell'ordinamento   regionale
siciliano, due nuove ipotesi di risoluzione dei contratti di appalto,
non contemplate dalla legislazione statale. Ancorche'  si  tratti  di
fattispecie tra loro differenti, posto che la risoluzione di  cui  al
comma 2 e' un effetto automatico del rinvio a giudizio, per il  reato
di favoreggiamento ivi richiamato, del legale rappresentante o di  un
dirigente dell'impresa aggiudicataria, mentre quella contemplata  dal
comma 1 e' una risoluzione per inadempimento, nondimeno  in  entrambe
le ipotesi si e' al cospetto di cause di risoluzione del contratto di
appalto  che  non   trovano   corrispondenza   (o,   meglio,   esatta
corrispondenza nel caso di quella del comma 1 dell'art. 2 della  l.r.
n. 15/2008) nella legislazione statale. Risulta allora  violata,  dal
Legislatore  regionale,  la  competenza  esclusiva  dello   Stato   a
legiferare nella materia dell'ordinamento civile. 
    Sul limite alla legislazione regionale in materia di  ordinamento
civile, valga richiamare l'orientamento espresso, anche  di  recente,
dalla Corte costituzionale che, con la sentenza del 27  giugno  2013,
n. 159, ha chiaramente affermato che l'art. 117, secondo comma, lett.
1),  Cost.  ha  codificato   il   limite   del   «diritto   privato»,
consolidatosi  gia'  nella  giurisprudenza  anteriore  alla   riforma
costituzionale del 2001, secondo cui  l'ordinamento  civile  si  pone
quale  limite  alla  legislazione  regionale,   in   quanto   fondato
sull'esigenza, sottesa al principio costituzionale di eguaglianza, di
garantire nel territorio  nazionale  l'uniformita'  della  disciplina
dettata per i rapporti tra privati, di guisa che  la  disciplina  dei
rapporti contrattuali va riservata alla legislazione statale. 
    IX) Non manifesta infondatezza della  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 2, commi 1 e 2, della l.r.  n.  15/2008,  in
relazione all'art. 117, secondo comma,  lett.  l),  Cost.:  l'art.  2
della l.r. n. 15/2008 detta disposizioni sulla  validita'  dei  bandi
relativi alle  procedure  di  affidamento  di  appalti  pubblici.  La
disciplina del contenuto dei bandi  in  questione,  tuttavia,  e'  un
aspetto qualificante della normativa sugli appalti pubblici; siffatta
normativa, che trova nel Codice dei  contratti  pubblici  (d.lgs.  n.
163/2006) e nel  relativo  regolamento  di  esecuzione  e  attuazione
(D.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207) il suo nucleo fondamentale (peraltro,
in gran parte derivante  dall'ordinamento  sovranazionale),  rientra,
come in piu' occasioni chiarito dalla Corte  costituzionale  (tra  le
molte pronunce in tal senso,  Corte  cost.  nn.  401/2007,  431/2007,
411/2008), nella materia della concorrenza, ambito riservato  in  via
esclusiva alla  legislazione  dello  Stato.  Rispetto  a  tale  ampia
competenza  nemmeno  prevale   la   maggiore   autonomia   attribuita
dall'ordinamento alle regioni a statuto speciale  ed,  anzi,  proprio
nel contenuto dei bandi di gara (con particolare riferimento a quello
dettato dai bandi-tipo  approvati  dall'Autorita'  di  vigilanza  sui
contratti pubblici che e' amministrazione  sicuramente  riconducibile
allo Stato), la Corte costituzionale ha di  recente  riconosciuto  un
ambito di formazione non  suscettibile  di  interferenze  neanche  da
parte delle autonomie a statuto speciale (Corte cost. 12 luglio 2013,
n. 187). 
    Ritiene, dunque, il Collegio che la disposizione regionale, anche
sotto questo profilo, presti il fianco al dubbio che  il  Legislatore
regionale abbia invaso un alveo di competenza statale. 
    Non va poi obliterato che la Corte costituzionale, anche dopo  la
riforma del Titolo V, ha affermato che le disposizioni contenute  nel
Codice dei contratti pubblici  -  almeno  per  la  parte  in  cui  si
correlano all'art. 117, secondo comma, lett. e) ed l), Cost., in tema
di tutela della concorrenza e dell'ordinamento civile - devono essere
ascritte, per il loro contenuto di ordine  generale,  all'area  delle
norme fondamentali di riforma  economico  e  sociale,  nonche'  delle
norme con  le  quali  lo  Stato  ha  dato  attuazione  agli  obblighi
internazionali nascenti dalla partecipazione  dell'Italia  all'Unione
europea (v., in tal senso, ex  multis,  Corte  cost.  nn.  45/2010  e
114/2011). Quest'ultima considerazione  vale,  ovviamente,  anche  in
relazione al precedente motivo. 
    X) Non manifesta infondatezza  della  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 2, comma 1, della l.r. n. 15/2008, n. 15, in
relazione agli artt. 97, primo comma, e 117, secondo comma, lett. b),
Cost.: come gia'  osservato  dal  T.a.r.  per  la  Sicilia,  sede  di
Palermo, nelle recenti, sunnominate ordinanze di  rimessione,  l'art.
2, comma 1, della l.r.  n.  15/2008  solleva  dubbi  di  legittimita'
costituzionale anche in relazione all'art. 117, secondo comma,  lett.
h)  ed  l).  In  particolare,  la   disposizione   regionale   sembra
contrastare  con  la  competenza  legislativa  esclusiva  statale  in
materia di ordine pubblico e sicurezza. In tal senso vale  richiamare
i principi espressi dalla Corte costituzionale con la sentenza n.  35
del 2012, con la quale e' stata affermata l'esistenza di una  stretta
connessione  tra  la  materia  sulla   «tracciabilita'   dei   flussi
finanziari» e quelle  dell'ordine  pubblico  e  alla  sicurezza.  Non
varrebbe in contrario obiettare che la ridetta  sentenza  n.  35/2012
riguarda un  provvedimento  legislativo  di  una  regione  a  statuto
ordinario,  giacche'  non  risulta  logicamente  ne'   giuridicamente
sostenibile, pur tenendo conto della  specificita'  della  diffusione
del  fenomeno  mafioso  in  talune  aree  del  territorio   nazionale
(specificita' la cui considerazione,  in  relazione  alla  situazione
siciliana, ha apparentemente ispirato il varo dell'art. 2 della  l.r.
n. 15/2008), che una disciplina afferente all'ordine pubblico e  alla
sicurezza possa mutare da un ambito regionale all'altro. Ne' varrebbe
rilevare del resto che la ratio della suddetta disposizione regionale
non sia unicamente quella di controllare la tracciabilita' dei flussi
finanziari nell'ambito dei contratti di appalti pubblici,  posto  che
pur potendosi valorizzare l'ipotesi  ricostruttiva  che  ravvisa  nel
comma  1  dell'art.  2  succitato  anche  la  risposta  normativa  ad
un'esigenza  di  razionalizzazione   funzionale   dell'attivita'   di
gestione dei pagamenti, emerge in maniera evidente come la principale
finalita' della  previsione  sia  comunque  quella  di  agevolare  un
controllo sui  predetti  flussi  finanziari,  al  fine  di  prevenire
infiltrazioni criminali e la consumazione di  reati.  Inoltre,  giova
richiamare il monito contenuto nella sunnominata sentenza n. 35/2012,
secondo cui e' sempre necessario  che  eventuali  misure  predisposte
nell'alveo di una competenza propria della Regione non  costituiscano
di per se' strumenti di politica criminale ne' generino interferenze,
anche  potenziali,  con  la  disciplina  statale  di  prevenzione   e
repressione  dei  reati,  diversamente  realizzandosi  un'illegittima
invasione della sfera di  competenza  legislativa  dello  Stato  (non
disponendo la Regione siciliana di alcuna competenza  in  materia  di
ordine pubblico e sicurezza). 
    Non e' poi controvertibile che dal comma 1 dell'art.  2  derivino
potenziali interferenze con gli ambiti normativi  riconducibili  alle
materie della  sicurezza  e  dell'ordine  pubblico,  condividendo  la
disposizione  le  medesime  finalita'  (almeno   quelle   prevalenti)
dell'art. 3 della l. n. 136/2010 e attenendo le  due  disposizioni  a
quelle stesse materie indicate nelle sentenza n. 35/2012;  d'altronde
nemmeno e' sostenibile che le norme contenute nell'art. 3 della l. n.
136/2010 (espressione, per l'appunto, della surrichiamata  competenza
legislativa statale),  espressamente  finalizzate  alla  prevenzione,
alla tutela e al contrasto di reati, anche di tipo mafioso, non siano
entrate immediatamente in vigore anche in Sicilia  a  prescindere  da
qualunque recepimento da parte del Legislatore regionale. 
    XI) Non manifesta infondatezza della  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 2, comma 1, della l.r. n. 15/2008, n. 15, in
relazione agli artt. 117, secondo comma, Cost.: in aggiunta a  quanto
gia' osservato nel precedente motivo, va altresi' considerato che  la
l. n. 136/2010 trova necessaria e uniforme applicazione in  tutto  il
territorio   nazionale   non   soltanto   per   l'evidente   esigenza
logico-giuridica di  contrastare,  con  eguale  incisivita'  e  senza
operare trattamenti differenziati tra zona e  zona,  il  fenomeno  ad
alta diffusivita' del crimine organizzato, ma anche perche' il citato
provvedimento statale, e segnatamente l'art. 3, presenta,  ad  avviso
del Collegio, tutte le caratteristiche oggettive (atteso il contenuto
della normativa, la sua motivazione politica e sociale e il massiccio
tasso di innovativita') di una legge recante  norme  fondamentali  di
riforma  economico  e  sociale  che  costituisce  tuttora  un  limite
generale alla legislazione regionale, anche di quella delle regioni a
statuto  speciale,  nonche'  un  ambito,  trasversale,  di  specifica
competenza legislativa statale. Di qui il  dubbio  che,  anche  sotto
tale profilo, l'art. 2, comma  1,  della  l.r.  n.  15/2008  sia  una
disposizione incostituzionale. 
    XII) Non manifesta infondatezza della questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 2,  comma  2,  della  l.r.  n.  15/2008,  in
relazione agli artt. 3, secondo comma, e 27,  secondo  comma,  Cost.:
come piu' volte accennato, il comma  2  dell'art.  2  della  l.r.  n.
15/2008 prevede la nullita'  dei  bandi  (di  tutti  i  bandi,  senza
nemmeno  il  limite  del  valore  superiore  a   100.000)   che   non
stabiliscano la risoluzione del  contratto  nell'ipotesi  in  cui  il
legale rappresentante o uno dei dirigenti dell'impresa aggiudicataria
siano stati rinviati a giudizio per  favoreggiamento  nell'ambito  di
procedimenti relativi a reati di criminalita' organizzata. 
    Ad  avviso  del  Collegio,  tale  ipotesi  di  risoluzione  e  la
correlata sanzione di nullita' amministrativa del  bando  confliggono
con l'art. 27, secondo comma, Cost., nella parte in cui il  parametro
costituzionale stabilisce una presunzione di non colpevolezza di ogni
imputato  sino  alla  condanna  definitiva.  In  disparte  l'opacita'
precettiva della disposizione regionale, la cui imprecisione  nemmeno
consente di comprendere esattamente a quali ipotesi di reato  (per  i
quali sia stato disposto  il  rinvio  a  giudizio)  si  riferisca  la
prescrizione (potrebbe trattarsi, ma il  condizionale  e'  d'obbligo,
dei delitti previsti e puniti  dall'art.  378,  secondo  comma,  c.p.
nonche' dagli artt. 378, 379 c.p. e 7 del d.l.  13  maggio  1991,  n.
152), appare  di  dubbia  costituzionalita',  per  contrasto  con  la
ridetta  presunzione  di   non   colpevolezza,   la   previsione   di
un'automatica risoluzione di un contratto  in  conseguenza  del  solo
rinvio a  giudizio  (giudizio  che  potrebbe  anche  condurre  a  una
sentenza  di  assoluzione),  ossia  a  fronte  di  una  mera  ipotesi
accusatoria che,  al  piu'  (ipotizzando  cioe'  che  il  Legislatore
regionale abbia utilizzato il termine «rinviati» in senso tecnico  e,
dunque, in relazione a quanto disposto dall'art.  429  c.p.p.  e  non
anche in relazione all'art. 552 c.p.p.), sia stata sottoposta  ad  un
vaglio giurisdizionale nei circoscritti ed esclusivi limiti della non
ricorrenza dei casi in cui  debba  essere  pronunciata,  dal  Giudice
dell'udienza preliminare, sentenza di non luogo a procedere, a  norma
dell'art.  425  c.p.p.  Il   Legislatore   regionale   insomma,   pur
perseguendo il fine condivisibile del forte  contrasto  del  fenomeno
mafioso - che peraltro, giova ribadirlo anche a questo proposito, non
rientra tra gli ambiti demandati  alla  sua  competenza  legislativa,
questi essendo  costituzionalmente  riservati  a  quella  statale  -,
sembra  aver  anticipato  davvero  eccessivamente  la  soglia   della
reazione  repressiva  dell'ordinamento  nei  confronti  dei  soggetti
soltanto  imputati  di  reati,   sia   pur   gravi;   tale   reazione
ordinamentale viene difatti ancorata dalla disposizione regionale  ad
elementi incriminatori che, nella fase  del  rinvio  a  giudizio,  si
presentano ordinariamente privi di una  specifica  consistenza  nella
prospettiva condannatoria e per i quali potrebbe perfino difettare un
qualunque preventivo vaglio giurisdizionale,  anche  solo  di  natura
preventiva   o   cautelare   (se   non   nei   limiti,   si   ripete,
dell'insussistenza dei requisiti per l'esercizio dell'azione penale o
della manifesta infondatezza dell'accusa alla stregua  dell'art.  129
c.p.p.). 
    Per di  piu',  la  risoluzione  del  contratto  di  appalto  gia'
stipulato  si  configura  come  una  conseguenza  automatica,   ossia
disposta direttamente dalla legge,  senza  neanche  l'intermediazione
amministrativa  di  una  valutazione  discrezionale  della   stazione
appaltante. 
    Completa il quadro  delle  perplessita'  suscitate  dal  comma  2
dell'art. 2 della l.r. n. 15/2008 la circostanza che  la  risoluzione
automatica dei contratti di appalto in caso di rinvio a giudizio  per
i delitti sopra indicati riguardi unicamente i contratti  aggiudicati
in gare svoltesi in Sicilia. 
    Per  le  ragioni  teste'  esposte,  i   profili   di   potenziale
incostituzionalita' del comma 2 - come  e'  gia'  stato  palesato  da
questo Consiglio nell'ordinanza cautelare 16 ottobre 2013, n.  786  -
sembrerebbero notevolmente piu' pregnanti, evidenti ed immediatamente
percepibili, rispetto  a  quelli  che  pure  si  sono  denunciati  in
riferimento al comma 1. 
    XIII) Non manifesta infondatezza della questione di  legittimita'
costituzionale dell'art. 2,  comma  2,  della  l.r.  n.  15/2008,  in
inazione agli artt. 3, secondo comma, e 117, secondo comma, lett. l),
Cost.: le considerazioni svolte nel  precedente  motivo  inducono  il
Collegio a dubitare dell'incostituzionalita' dell'art.  2,  comma  2,
della  l.r.  n.  15/2008  anche  sotto  un  differente  profilo.   La
previsione regionale in esame, difatti,  correla  al  mero  rinvio  a
giudizio  del  legale  rappresentante  o   di   uno   dei   dirigenti
dell'impresa  aggiudicataria  per  favoreggiamento   nell'ambito   di
procedimenti  relativi  a  reati  di  criminalita'   organizzata   la
risoluzione  automatica  del  contratto  di   appalto   eventualmente
concluso con un'amministrazione regionale o infraregionale. In questo
modo il Legislatore siciliano ha introdotto e disciplinato  un  nuovo
effetto penale del rinvio a giudizio,  con  conseguente  aggravamento
del  relativo  regime  che  si  traduce  in  una  sorta  di  sanzione
accessoria di natura civilistica (ovvero  la  risoluzione  automatica
del contratto  concluso  con  l'amministrazione).  Cosi'  disponendo,
tuttavia, la  l.r.  n.  15/2008  sembra  aver  invaso  la  competenza
legislativa esclusiva spettante allo Stato in materia di  ordinamento
penale (comprensivo, ovviamente,  delle  misure  preventive  e  degli
effetti che il rinvio a giudizio possa produrre  sulla  capacita'  di
agire dei soggetti  nei  cui  confronti  sia  in  corso  un  processo
penale). 
    Il  tema  intercetta  anche  le  argomentazioni  sviluppate   nel
precedente motivo: difatti il  Collegio  non  ignora  che  la  regola
scolpita dall'art. 27 Cost. sia suscettibile di temperamenti  laddove
il decorso del tempo possa costituire un pericolo per  l'accertamento
o la reiterazione di reato o per l'assicurazione dell'imputato o  del
reo alla Giustizia (come avviene per le misure cautelati personali  e
reali) o quando occorra applicare misure special-preventive,  dirette
ad evitare la commissione di reati da parte di determinate  categorie
di soggetti considerati socialmente pericolosi (come nel  caso  delle
misure di prevenzione); ma l'effettuazione  di  tale  contemperamento
spetta unicamente alla potesta' legislativa esclusiva dello Stato  in
ambito penale. 
    In linea con quanto gia' osservato  dal  T.a.r.  per  la  Sicilia
nelle ridette ordinanze di rimessione,  occorre  rilevare,  sotto  il
profilo della ragionevolezza della disposizione per comparazione  (ma
ancora una volta pure sotto il profilo dell'illegittima invasione  di
una competenza legislativa attribuita in via esclusiva  allo  Stato),
che una definitiva e  automatica  conseguenza  sul  contratto,  quale
quella disciplinata dall'art. 2, comma 2, della l.r. n. 15/2008,  non
trova riscontro neppure nell'art. 38 del d.lgs. n. 163/2006,  il  cui
primo comma, alla lettera c), esclude dalla partecipazione alle  gare
i (soli) soggetti nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di
condanna passata in giudicato, o emesso decreto  penale  di  condanna
divenuto irrevocabile, oppure sentenza di applicazione della pena  su
richiesta, ai sensi dell'art. 444 del codice di procedura penale, per
reati gravi in danno dello Stato o della Comunita' che incidono sulla
moralita'  professionale;  o  sentenza  di   condanna,   passata   in
giudicato, per uno o piu' reati di partecipazione a un'organizzazione
criminale, corruzione, frode, riciclaggio, quali definiti dagli  atti
comunitari citati all'art. 45, paragrafo  1,  direttiva  CE  2004/18;
indicando i titolari di poteri, di cui  vanno  accertati  i  predetti
precedenti penali. 
    La circostanza che siffatta  interferenza  legislativa  regionale
nell'ambito penalistico riguardi  soltanto  i  contratti  di  appalto
stipulati in Sicilia solleva un'ulteriore profilo di perplessita' sul
versante della disparita' di trattamento. 
    XIV) Non manifesta infondatezza della questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 2,  comma  2,  della  l.r.  n.  15/2008,  in
relazione  all'art.  117,  secondo  comma,  lett.   b),   Cost.:   la
circostanza che  il  comma  2  dell'art.  2  della  l.r.  n.  15/2008
configuri il rinvio a giudizio  dei  soggetti  ivi  menzionati  quale
causa di nullita' del bando (v.,  supra,  il  quarto  motivo),  rende
evidente, qualora ce ne  fosse  ancora  bisogno,  che  la  principale
finalita' della disposizione e' quella  di  contrastare  il  fenomeno
della criminalita' organizzata, ponendosi, in tal modo, in  conflitto
con la riserva della legislazione esclusiva  statale  in  materia  ai
sensi dell'art. 117, secondo comma, lett. h), Cost.. 
    Anzi, a ben vedere, per il comma 2 neppure  appaiono  agevolmente
individuabili ulteriori finalita' del precetto, oltre  a  quella  del
contrasto al fenomeno criminale - come potrebbe invece supporsi,  con
riguardo al comma 1, per l'esigenza di garantire  una  trasparente  e
verificabile   gestione   del    denaro    ricevuto    e    impiegato
dall'appaltatore per l'esecuzione dell'appalto  -  che  possano  aver
concorso a motivarne l'inserimento  nel  tessuto  normativo  primario
regionale: sicche', appunto con riguardo al comma 2,  si  ritiene  di
poter affermare che la  finalita'  di  contrasto  al  fenomeno  della
criminalita' organizza, palesemente non di competenza regionale,  sia
stata l'unica, piuttosto che quella prevalente, ad aver supportato la
formulazione di siffatta norma. 
    18.  -  In  conclusione,  sulla  scorta  di  tutto  quanto  sopra
osservato  e  considerato,  il  Collegio  ritiene  rilevante  e   non
manifestamente infondata la questione di legittimita'  costituzionale
che con la presente ordinanza viene rimessa alla corte Costituzionale
in relazione ai parametri sopra indicati; per l'effetto, il processo,
gia' parzialmente definito, va  sospeso  in  relazione  alle  residue
questioni proposte con l'appello, a norma dell'art. 79 c.p.a.